Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, la recensione della serie su Amazon Prime Video

La recensione della serie Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino su Amazon Prime Video

È il 1978 l’anno in cui Christiane F. diventa la voce di una generazione con il libro Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino. È il 1981 l’anno in cui, interpretata da Natja Brunckhorst, diventa l’icona di quella stessa generazione, con il film che dal libro fu tratto. Ed è il 2021 l’anno in cui si tenta di riproporre ad una nuova generazione quella stessa storia che tanto sconvolse il mondo: Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino è ora una serie (trailer), disponibile su Amazon Prime Video, creata da Annette Hess e diretta da Philipp Kadelbach.

Sono otto gli episodi attraverso cui si dipanano le vicende di Christiane e dei suoi amici, nei quali si approfitta dei tempi più estesi che la serialità offre per attingere in maggior misura dal libro, rispetto a quanto avesse fatto all’epoca il film. Questo nuovo adattamento si propone da subito, sin dalla locandina, come un prodotto più corale dei precedenti: Christiane è ancora la protagonista, ma tanto si indugia sulle vite degli altri ragazzi, e in particolar modo delle ragazze, del Bahnhof Zoo. Ma la generazione alla quale si rivolge oggi la serie è distante anni luce da quella di Christiane, nonostante ne possa condividere in parte i problemi. Per accorciare questa distanza allora si astrae il più possibile la vicenda narrata, abbandonando completamente il crudo realismo che caratterizzava le antecedenti versioni della storia. Ed è proprio questo uno dei principali problemi che si riscontrano durante la visione.

La recensione della serie Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino su Amazon Prime Video

È mancato il coraggio di lasciarsi interamente alle spalle l’ambientazione storica originaria, così come non si ha nemmeno avuto la coerenza di rispettarla del tutto. Eppure Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino racconta qualcosa di profondamente radicato nel periodo e nel contesto che l’hanno generato. Gli anni settanta in una Berlino divisa, metonimia del globo intero, sono fondamentali per inquadrare la storia di Christiane, la quale, ad appena sedici anni, rivela al mondo che mentre dilagava la preoccupazione per lo spettro del comunismo, ad aggirarsi per l’Europa ce n’era un altro di spettro, quello dell’eroina.

E invece tutto ciò viene a mancare, ogni coordinata temporale si perde, se non per qualche accenno residuo che non permette di mettere a fuoco concretamente l’epoca. E questo neanche in virtù di uno svecchiamento di sorta, ma semplicemente ai fini di una sospensione, amplificata da un simbolismo assolutamente non necessario, che distrugge definitivamente la lucidità delle prime due opere. Il risultato di quest’operazione a metà, è un prodotto terribilmente depotenziato dalle implicazioni appartenutegli in passato e non abbastanza attuale per poter comunicare qualcosa allo spettatore odierno. E se tante volte il desiderio non fosse quello di comunicare, ma solamente di ammaliare esteticamente, non si riesce neppure in quel caso: manca infatti qualsiasi tipo di appeal stilistico, proprio perché la serie prova così tanto ad averlo da risultare pacchiana.

Ed ecco difatti in definitiva il problema più grande: ci si serve della storia dei ragazzi dello zoo di Berlino soltanto per validare internazionalmente un prodotto mediocre, per permettergli di competere con serie simili e à la page, come Euphoria; per evitare, insomma, che vada perso nella mischia. Tuttavia nella mischia ci si perde lo stesso, perché malgrado non si possa affermare con certezza che sia questo il vero motivo alla base dell’adattamento, è quanto chi guarda, inevitabilmente, recepisce.

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