I Am Not Okay With This, la recensione della serie su Netflix

“Caro diario vai a fare in c**o”: questa è la prima frase che, sulle immagini della protagonista che cammina ricoperta di sangue, ci introduce all’eclettica storia di I am not okay with this (trailer). “Sono una noiosa ragazza bianca di 17 anni. Non sono speciale, questo voglio dire, e mi sta bene così”. Tanto normale non è, Sydney, e più cerca di negarlo e più la sua “specialità” esce fuori, pericolosamente. È una storia di crescita personale: una ragazza adolescente che si trova ad affrontare le difficoltà di una liceale emarginata e il taciuto dolore per il lutto del padre suicida.

Il 26 febbraio è approdato sulle spiagge di Netflix un altro adattamento ai fumetti di Charles Forsman, il precedente fu l’acclamato The End of the F***ing World e con quest’ultimo condivide il regista (Johnathan Entwistle); oltretutto la produzione è la stessa della celebre serie Stranger Things e la coppia di attori Lillis-Oleff hanno già lavorato insieme per la pellicola It. Insomma, sembrerebbe che il colosso dello streaming abbia puntato molto sulla riuscita della serie.

Sydney (Sophie Lillis) ha problemi con i rapporti interpersonali, per questo ha un’unica amica, Dina (Sofia Bryant), e la sua difficoltà nel gestire la rabbia non aiuta. Proprio la rabbia ha un ruolo centrale in tutta la vicenda. Il suo vicino di casa, il particolare e delizioso Stanley Barber (Wyatt Oleff), presenza a volte da lei sgradita a volte il contrario, diventa però un aiuto brillante e necessario per ciò che Sydney sta pian piano scoprendo di sé stessa. La protagonista sente di essere diversa, vede l’insorgere in lei dei super poteri pericolosi, che emergono principalmente nei momenti di rabbia, tristezza e vulnerabilità. Il percorso che si troverà ad affrontare in questa prima stagione, è quello del rifiuto di tali poteri. Chissà se la seconda, invece, vedrà l’accettazione come protagonista.

Chi ha amato The End of the F***ing Wolrd non potrà non fare lo stesso con I Am Not Okay With This. Il mood cinico e apatico non smentisce lo stile di Forsman, infatti non manca una nota cruenta all’interno della narrazione. Ci si diverte e ci si emoziona, è una serie da mangiare velocemente ed essa si fa divorare con gusto. La lunghezza dei sette episodi favorisce questa voracità, ognuno dei quali dura circa 20 minuti. C’è un sentimento di nostalgia agli anni ’80 e ’90 e come il precedentemente citato lavoro del regista si ritrova una struttura filmica vintage che sta caratterizzando molti prodotti targati Netflix negli ultimi anni. Il connubio tra il normale e sovrannaturale funziona e da sempre, e anche per questo ora si è incuriositi dal possibile risvolto narrativo della seconda stagione.

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