Il mio amico robot, la recensione: per un’educazione sentimentale

Il mio amico Robot recensione film d’animazione di Pablo Berger DassCinemag

Chiusa tra Spider-Man e Miyazaki agli Oscar per il miglior film d’animazione era candidata una gemma. Il mio amico robot (trailer), di Pablo Berger, tratto dalla graphic novel di Sara Varon, riesce a riscoprire quell’universalità che il cinema perde con la parola. Il risultato è un film dall’estetica retrò ma dall’attitudine molto contemporanea.

Un cagnolino solo acquista il robot da compagnia di una televendita, con cui nasce una grande amicizia. Al termine di una giornata in spiaggia, il robot ha un guasto e non riesce a rialzarsi dalla sabbia. Il suo amico prova a tirarlo su, ma lui è troppo pesante, ed è costretto a lasciarlo lì fino alla riapertura della spiaggia, a giugno dell’anno successivo. È qui che i sogni di entrambi lasciano spazio a timori e speranze, nell’attesa dell’altro.

La completa assenza di battute non è una novità per il regista spagnolo, che aveva già realizzato Blancanieves (2012), una rivisitazione in bianco e nero dell’omonima novella. Mentre in quel caso il muto contribuiva a una ricerca emulativa delle grandi produzioni anni Venti, ne Il mio amico robot genera l’effetto contrario: un film dalla lettura semplice, ma capace di centrare il punto proprio in virtù della sua essenzialità. La sua immediatezza si estende anche al look delle animazioni. Un immaginario vintage cucito ad un gusto piuttosto moderno, in cui le linee tonde e delicate sono riempite da colori pieni e decisi.

Questo mutismo, il 2D, gli animali antropomorfi inseriscono il film nella tradizione più classica del cinema d’animazione, ma le sequenze oniriche rivelano uno stile ricercato e innovativo. È qui che le citazioni a Il Mago di Oz (1939) ed una certa somiglianza con alcune scene de Il grande Lebowski (1998) si alternano a cambi di formato o punti di vista insoliti. In questo senso, il titolo originale, Robot Dreams, è forse più significativo per il richiamo alla dimensione onirica.

L’assenza di dialoghi, però, non ne fa un film muto (quando mai il cinema lo è?), perché apre ad un utilizzo del sonoro immersivo e audace, descrittivo e diegetico allo stesso tempo. September, degli Earth, Wind & Fire, è sia il mese in cui i due vivranno la loro amicizia (Now December/Found the love that we shared in September/Only blue talk and love, remember), sia la loro canzone preferita, quella che entrambi terranno nel cuore per sempre. In sottofondo i rumori urbani di una New York anni Ottanta restituiscono una città caotica e coinvolgente, ma sotterrano le altre comparse nello stress metropolitano rivelando personaggi spesso meschini e apatici.

Il mio amico robot è apparentemente un film sull’abbandono, ma si rivela essere anche una storia sui cambiamenti e sulla nostra capacità di accettarli. Oltre a sollecitare i gusti cinematografici dei più piccoli, l’opera di Berger offre un’educazione sentimentale rara e purissima, uno stimolo continuo alla crescita e alla comprensione dell’altro e di noi stessi.

Al cinema.

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