40 anni fa, esattamente il 6 aprile 1984, debuttò nelle sale della Germania dell’Ovest La storia infinita (trailer). Il film diretto da Wolfgang Petersen è ispirato alla prima parte dello omonimo romanzo di Michael Ende. Primo di una trilogia è la produzione tedesca più costosa del dopoguerra (25 milioni di dollari). Questo rese la pellicola una delle più famose degli anni ‘80 rendendola oggi un cult senza tempo. Il regista tedesco dopo questo iniziale successo emigrò oltre oceano girando numerosi blockbuster a Hollywood, come: Nel centro del mirino, Virus letale, Air Force One, La tempesta perfetta e Troy.
La storia infinita, come ogni adattamento cinematografico che si rispetti, non ripropone alla lettera il romanzo ma mantiene saldo il cuore del racconto: un invito allo spettatore verso la riscoperta della propria immaginazione, la necessità di continuare a sognare come azione salvifica per vivere nel mondo reale. Caratterizzato dal suo fascino vintage, si tratta di un fantasy decisamente artigianale rispetto a quelli a cui è abituato lo sguardo contemporaneo, ma è proprio questa rudimentalità visiva che rende la trama all’anima di questo film. Inoltre, il racconto sembra ibridarsi con una fitta tessitura di riflessioni metaforiche di stampo metacinematografico. Per questo è necessario prendersi qualche riga in più per raccontarne la trama, che si sviluppa come una storia dentro una storia: una nel mondo reale e la seconda nel mondo fittizio di Fantàsia.
Tutto inizia quando il giovane protagonista Bastian (Barret Oliver) per scappare da alcuni bulli si rifugia in una libreria. Nel negozio si imbatte in uno stravagante libraio, che gli tesse le lodi di strano volume che sta leggendo: La storia infinita. Il bambino, incuriosito, approfitta di un attimo di distrazione del proprietario per rubare il libro e scappare via. Il ragazzo arriva a scuola in ritardo e per questo decide di nascondersi nella soffitta della scuola, dove inizia a leggere avidamente, da qui tutto ha inizio. La storia narrata è ambientata nel regno di Fantàsia, minacciato da una misteriosa ed oscura forza distruttrice: il Nulla. L’unica speranza di salvezza è riposta nella giovane sovrana del regno: l’Imperatrice, purtroppo terribilmente malata. La sovrana richiede così l’aiuto del grande guerriero Atreyu (Noah Hathaway) il solo a poter salvare Fantàsia, ma con grande stupore dei sudditi (e degli spettatori) anch’esso si rivela un ragazzino. Atreyu durante la sua missione affronta svariate e pericolosissime avventure, particolarmente ostiche saranno le tre prove necessarie per raggiungere l’Oracolo del sud, l’unico a sapere come salvare Fantàsia. Tra di esse particolarmente significativa è la seconda: lo specchio dell’anima. È proprio qui che Bastian (e lo spettatore con lui) riceve la conferma ai suoi sospetti: quando Atreyu si specchia il suo riflesso mostra un ragazzino intento a leggere un libro. Bastian si accorge con stupore e spavento di essere parte della storia che sta leggendo.
Alla fine delle prove l’Oracolo rivela ad Atreyu che l’unico modo per salvare la loro terra è quello di trovare un nuovo nome per l’imperatrice, e che solo un terrestre sognatore situato oltre i confini di Fantàsia può farlo. Verso la fine del film Atreyu incontra Gmork, un grande lupo nero protettore e servo del Nulla. Questo gli rivelerà che Fantàsia non ha confini perché fatta dei sogni degli esseri umani e che questa è la dimostrazione che gli umani non sognano più. Atreyu sconfiggerà Gmork ma ormai è troppo tardi: il Nulla si è portato via tutto tranne la Torre d’Avorio, casa dell’imperatrice bambina. La sovrana sembra al contrario felice e rivela ad Atreyu che egli ha adempiuto al suo compito, perché il giovane terrestre, che ha seguito tutte le sue avventure, è ora lì con loro. Bastian, senza rendersene conto, da quando ha cominciato a leggere il libro è diventato protagonista e scrittore della storia. Il Nulla tenterà di eliminare Bastian, provocando una tempesta nel mondo reale, con l’intento di distruggere la soffitta in cui si trova e conquistare la terra, sottolineando quanto sia sfumato il confine tra realtà e fantasia. Il bambino troverà il coraggio di credere in ciò che legge ed urlerà contro la tempesta il nome della madre. Il Nulla viene distrutto, l’imperatrice è viva, ora è il momento di ricostruire Fantàsia.
Svariate interpretazioni sono scisse dalla trama de La storia infinita. Seguendo una lettura puramente cinematografica si tratta certamente di un film che comunica direttamente con lo spettatore riflettendo sulla propria essenza, intessendo la trama di significati metaforici, a volte sottili ed altre decisamente più diretti. Parliamo di metacinema. Non un metacinema che mette in scena i meccanismi tecnici i in senso stretto o la sua storia, ma che calibra la propria autoriflessività sul suo rapporto più importante: quello che si crea in sala il patto con lo spettatore. Carchiamo di concretizzare accompagnando questa riflessione con la trama del film ed alcune scene nel dettaglio.
Il rapporto dello spettatore cinematografico con il film, rimanendo nel contesto della sala e cercando di immaginare come essa potesse essere vissuta negli anni ‘80, quindi lontani dalle fruizioni distratte tipiche del panorama contemporaneo, oscilla tra il passivo e l’attivo. Esattamente come Bastian in fantasia, nel buio ovattato della sala cinematografica, l’individuo sospende temporaneamente il corso della vita quotidiana: si rifugia in “soffitta”. Accade qualcosa che è più vicino alla passività del sogno che alla realtà, ma un sogno attivo a cui noi decidiamo di partecipare permettendo di abbandonare parzialmente la sorveglianza che esercitiamo su noi stessi.
Lo spettatore partecipa emotivamente alla vicenda filmica tramite due meccanismi psicodinamici fondamentali: l’identificazione e la proiezione. Col termine identificazione si designa un processo psicologico intenso nel cinema, con cui un soggetto assimila una caratteristica di un’altra persona che fa da mediatore alla sua esperienza (tipicamente il personaggio protagonista). Lo spettatore, adottando i comportamenti fisici e mentali di un personaggio, reagisce con lui alle sue vicende. Esattamente come fa Bastian quando Atreyu si trova in difficoltà e teme per la sua vita o piange quando muore il suo fedele destriero Artax. Tuttavia, nel cinema, la personalità individuale dello spettatore reagisce continuamente alla forza del meccanismo identificativo che, se non incontrasse tale reazione, finirebbe per annullare completamente le caratteristiche del soggetto. Di fatto il bambino è continuamente distolto dalla sua lettura da una serie di fenomeni biologici come la fame o dei rumori che lo richiamano per brevi attimi alla realtà, ma anche la sua stessa volontà di non accettare fino all’ultimo il suo ruolo in Fantasia.
Nel cinema il fenomeno dell’identificazione aumenta d’intensità rispetto alla lettura o il teatro, data la forte “caratteristica di realtà” propria del mezzo. Il termine “proiezione” indica quando l’individuo espelle da sé e localizza nell’altro della qualità, dei desideri e dei sentimenti che egli non riconosce o rifiuta nel mondo reale. la proiezione è quando un fatto psicologico è spostato dall’interno all’esterno, dal soggetto all’oggetto, dallo spettatore al personaggio. Se Bastian nel mondo reale non è altro che un bambino indifeso, che viene torturato dai bulletti della scuola, in Fantàsia diviene il grande guerriero Atreyu.
L’identificazione e la proiezione di Bastian in Atreyu è dunque evidente, ed ancora più evidente è la volontà del film e del regista di voler, non farci identificare con bastian, ma metterci nella sua situazione. Il bambino rappresenta in sé il processo di identificazione spettatoriale, il patto che firmiamo quando decidiamo di partecipare ad una narrazione cinematografica. Questa volontà parte, ovviamente, dalla sceneggiatura stessa ed i dialoghi ne sono un esempio calzante e forse il più esplicativo: «Lui ha sofferto con te, ha vissuto tutto quello che hai vissuto tu […] è vicinissimo e sente tutto quello che diciamo» rivela l’Imperatrice durante il climax finale ad Atreyu; prosegue «lui vive le tue avventure ed altri intanto vivono le sue, erano tutti con lui quando si è rifugiato nella libreria». Il riferimento all’esperienza collettiva della sala sembra quasi letterale.
L’ennesima conferma che Bastian sia il nostro tramite con la storia, con la quale dobbiamo interagire personalmente, ce lo conferma la risoluzione del climax finale. Il bambino decide di credere e dunque dare un nuovo nome all’imperatrice per salvare Fantàsia, decidendo di dargli quello della madre. Tuttavia, quando urla il nome, non sentiamo quale esso sia perché il suono viene coperto dai rumori del temporale. Perché non ci viene rivelato? Perché siamo noi spettatori a dover dare un nuovo nome all’imperatrice e salvare fantasia. Alla fine del film Bastian è avvolto nell’oscurità con l’imperatrice, Fantàsia è stata distrutta. Illuminati dalla tenue luce di un granello di sabbia l’imperatrice rivela che Fantàsia può ancora risorgere. Questo perché « Fantàsia non ha confini, è il regno della fantasia umana» (esattamente come il cinema) e per questo può rinascere sotto un’altra forma. È il momento di scrivere una nuova storia e come per l’inizio di ogni storia proiettata in sala “all’inizio è sempre buio”.
Bibliografia:
Alberto Angelini, Psicologia del cinema. Prefazione di Luciano Mecacci, Liguri editore, Napoli, 1992.
Sitografia:
La storia infinita. (11 marzo 2024). Wikipedia, L’enciclopedia libera. Tratto il 1° aprile 2024, 22:51 da //it.wikipedia.org/w/index.php?title=La_storia_infinita&oldid=138286110.