Super Size me 2: Holy Chicken!, la recensione del film su Amazon Prime Video
Morgan Spurlock aveva sconvolto il mondo. Super Size Me aveva mostrato qualcosa che tutti già intuivano, ma che da allora non è più stato possibile ignorare. Adesso, con Super Size Me 2: Holy Chicken!, l’asticella si alza ancora di più (qui il trailer).
Il mondo è profondamente cambiato: il primo documentario di Spurlock contribuì a scioccare un paese in cui il junk food non era nemmeno considerato tale. Da allora sempre più persone, e quindi sempre più multinazionali, hanno percepito l’alimentazione come un problema. E lo è, davvero, specie in un paese col più alto tasso di obesità al mondo, ed è un problema causato soprattutto dai fast food. Possono, quindi, gli stessi fast food, essere parte della soluzione?
Questo l’interrogativo che porta il nostro non-più-così-amatoriale cineasta dietro le quinte dell’assurdo mondo delle grandi catene alimentari. Da fruitore attento e polemico, Morgan oltrepassa il bancone. Il progetto? Aprire il proprio fast food. Scordatevi la camera a mano traballante negli squallidi parcheggi dei McDonald, o le interviste con i medici esterrefatti dal suo esilarante autolesionismo. Adesso si fa sul serio. Rimane l’artigianalità delle riprese, ma l’obiettivo è incredibilmente più ambizioso. Morgan vuole dimostrare quanto c’è di vero nei proclami salutisti dei grandi fast food. Il packaging è cambiato, e tutti i colossi dell’alimentazione si dicono attenti alla salute e all’ambiente. Sarà vero?
Ecco quindi che alle pantagrueliche mangiate si sostituiscono le riunioni con gli esperti e le attente valutazioni di marketing, fino ad arrivare alle interviste ai piccoli allevatori di polli americani. Il tutto con l’obiettivo di rispondere a una domanda che troppi di noi accettano di non farsi, compiaciuti dallo sforzo creativo del brand. Ma è davvero possibile un fast food che sia remunerativo ed economicamente e ecologicamente non tossico? Come può il cibo, preparato in grandi catene industriali votate all’espansione, essere anche sano?
Questa è la ricerca del nostro Morgan Spurlock, che si tuffa in quest’avventura con quell’ilare spregiudicatezza che ci aveva già incantati quando, con disciplina indefessa, si ostinava a perseguire un eccesso ridicolo e assolutamente tossico, ingozzandosi di Big Mac fino a vomitare prima ancora di essere uscito dal McDrive. Portare tutto quanto all’eccesso, mostrarne i reali meccanismi distorti: questa sembra essere la sua più profonda motivazione. Una missione che è una chiave di lettura della sua opera documentaristica, ma che ne trascende i confini, investendolo totalmente, come regista e come persona, per mostrare platealmente cos’è davvero, dietro i brand e gli slogan, quella considerata come “american way of life”. Quello che succederà alla fine di quest’avventura ha del surreale, e vale decisamente la visione.
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