#RomaFF18: The Boy and the Heron, la recensione del film di Hayao Miyazaki

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Il più grande maestro vivente di cinema d’animazione è tornato dopo dieci anni con un nuovo film destinato a lasciare per sempre un segno nel cuore degli spettatori: The Boy and the Heron (trailer); presentato in anteprima nazionale alla Festa del Cinema di Roma nella categoria Grand Public. Hayao Miyazaki, questa volta, ci porta nel 1943, in Giappone, più precisamente a Tokyo. Come nel precedente Si alza il vento a dare il via alle vicende del film è una tragedia; questa volta però un incendio, che lascia orfano di madre il nostro protagonista, il piccolo Mahito. Trasferitosi in campagna col padre e la nuova compagna, nonché sorella dell’ex moglie, Mahito sarà catapultato in un’avventura magica. Il regista sfrutta gli stilemi per cui è già noto creando un percorso all’interno della sua filmografia, passando per mondi fantastici alternativi (La città incantata), portali per nuove realtà (Il castello errante di Howl) e creature immaginifiche che pescano dalla tradizione leggendaria giapponese (Princess Mononoke). Un’eredità di circa 50 anni impressa in queste figure animate, dal tratto cartoonesco e dai temi sempre profondi.

La concezione dell’elaborazione del lutto prende nella penna di Miyazaki una linfa moderna, più legata alle filosofie orientali ma con la drammaticità della perdita tipica del pensiero occidentale. In questo senso il viaggio del ragazzo sembra una traversata epica del Bardo buddhista, luogo di luci e ombre abitato da divinità (irate e pacifiche) con l’aspetto di animali antropomorfi; narrato con le modalità della Commedia dantesca, accompagnato dal suo personalissimo Virgilio, un esperto del luogo, l’airone. Il regista si impersona come un bodhisattva, essere illuminato a cui è concessa la possibilità di raggiungere il nirvana, al quale però rinuncia, donando con compassione il suo sapere sacro agli umani che ancora ignorano le vie della pace. La ricerca di un erede è un passo fondamentale, sembra che Miyazaki non voglia abbandonare il suo pubblico senza prima aver trovato qualcuno che possa sostituirlo nella sua missione. È una missione ambientalista, la missione di un messaggio morale per un mondo migliore. Questa volta però c’è più cinismo, il clima favolistico a cui eravamo abituati a delle crepe. Iniziano a sorgere dei dubbi sul nostro mondo, ci iniziamo a chiedere se alla fine andrà tutto bene ma non troviamo risposte. La malvagità ci si ritorce contro e forse siamo arrivati ad un punto di non ritorno. Quando anche ad un artista mosso dalla speranza della novità sorgono dei dubbi in merito diventa necessaria una risposta empirica, un grido di ribellione.

Per non perderci all’interno di pensieri senza via di scampo è il caso di tornare agli aspetti formali del film. L’animazione è spettacolare, forse la migliore della sua carriera, nei momenti tranquilli sempre misurata, lasciando il tempo di goderci ogni frame come dipinti ad una mostra. Nei momenti più concitati, invece, esplode completamente in mille colori e movimenti che, con maestria, non risultano mai confusi. La musica del fedelissimo Joe Hisaishi segna una novità nel suo annoso percorso di collaborazioni Ghibli. Quello a cui ci aveva abituati erano brani conditi da una melodia dall’epica crescente, indimenticabili e gloriosi. Questa volta, invece, con grande esperienza, crea una guida musicale molto misurata, perfetta per intrecciarsi alla narrazione, mai ingombrante o fuori posto. Ogni tessera del puzzle è al suo posto. Certo, la fabula è spesso confusa e l’ingresso apparentemente casuale di personaggi importanti può essere quantomeno spiazzante, ma i film del Maestro sono fatti della stessa sostanza dei sogni. Non è necessario un racconto lineare e preciso, siamo nell’onirico, e quando è l’inconscio ad essere toccato le lacrime, i sorrisi e le risate nascono e crescono di una sincera ed inspiegabile spontaneità.

Ci sarebbero da spendere altri milioni di parole per tessere le lodi di questo capolavoro, ma non basterebbe l’intero dizionario per spiegare l’emozione della poesia di un uomo che ci ha concesso di accedere nelle profondità di sé stesso e nell’immensità dei problemi universali. Accontentiamoci quindi di chinare il capo e ringraziarlo a gran voce. Grazie per l’arte. Grazie per la cultura. Grazie per le gioie e per i dolori. Hayao Miyazaki non smettere mai.

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