Furiosa: A Mad Max Saga, la recensione: addio fanciullezza

Furiosa: A Mad Max Saga, recensione del film prequel di Mad Max: Fury Road con Anya Taylor-Joy

Dall’Eden all’Inferno, dall’infanzia all’adolescenza, George Miller ripercorre la crescita della sua eroina nelle aride terre di una distopica Australia. Furiosa: A Mad Max Saga (trailer), prequel di Mad Max: Fury Road, esplora ed espande l’universo milleriano attraverso gli occhi di Furiosa, già interpretata nel precedente film da una strabiliante Charlize Theron, e ora da Alyla Browne e Anya Taylor-Joy. Le due riescono a lavorare in perfetta sintesi, legando il passaggio da un’età infantile a una più matura senza stridere agli occhi dello spettatore. 

E ancora gli occhi, quelli magnetici dell’attrice di The Witch, catturano l’attenzione. Il primo piano che Miller le dedica alla fine della scena d’azione sulla blindocisterna con Praetorian Jack (Tom Burke), la presenta per ciò che è diventata: una donna senza scrupoli. «Gli occhi caro mio non mentono». E sono loro, quando Furiosa si nasconde, prima tra le fila dei pretori, poi da Dementus (Chris Hemsworth) a spiccare nel drappeggio che la copre. E sono sempre loro l’origine delle lacrime, quelle che uno spietato quanto curioso Dementus assapora quando la costringe a guardare l’esecuzione della madre (Charlee Fraser).

Strappata con forza da quel paradiso terrestre che viene chiamato Il Luogo verde delle Molte Madri, Furiosa viene fatta prigioniera da un deformato Chris Hemsworth dal naso prostetico. Il personaggio interpretato dall’attore australiano è quanto mai assurdo. Cammina come un equilibrista sulla sottile linea tra il comico e il drammatico. Porta sempre con sé un peluche e il suo arco di trasformazione combacia con il colore del suo mantello. All’inizio è bianco, puro, sembra una figura messianica, poi rosso e infine nero. Si fa sempre più serio, tanto da riuscire a intavolare un discorso estremamente profondo quando la vendetta di Furiosa incombe su di lui.

Dementus le pone una domanda: «…hai quello che serve per renderlo epico?» La domanda successiva, quella che il pubblico dovrebbe porsi è: si sta rivolgendo a Furiosa o a noi spettatori? O forse è Miller a rivolgersi a sé stesso? Il dubbio è lecito, soprattutto alla luce dei titoli di coda. Ai nomi del cast si alternano immagini del precedente Fury Road. Non è un caso che Furiosa termini con quello che è l’inizio del film del 2015: le mogli di Immortan Joe nella blindocisterna. Questa continuità tra i due film, in sé ovvia, è messa in risalto proprio da quegli inserti, che in un certo qual senso rispondono a cosa bisogna rendere epico. Se non Furiosa, se non Fury Road, la risposta sta nel dubbio che entrambi lo possano essere. Il primo come fondatore, il secondo come rievocazione. E ancora, non è superflua, in Furiosa, la presenza di un erudito (George Shevtsov), colui che custodisce la storia. Non è scontato la riproduzione di un dipinto a Gastown. Non è casuale la presenza di un cavallo in carne e ossa attorno alle motociclette. Miller, nella sua attività mitopoietica, non può rinunciare al confronto con la realtà extra cinematografica, ai problemi ambientali, allo stato di militarizzazione e ancora all’immaginario biblico. 

Ma se c’è una base su cui si fonda è senza dubbio il western. La Fury Road come tratta ferroviaria nella selvaggia frontiera segna l’inizio del claudicante impero di Dementus e gli attriti con l’altro grande “proprietario terriero” Immortan Joe (Lachy Hulme). La violenza è il cardine delle gerarchie dei rispettivi imperi, cosi come la follia è il motore dell’azione e il Doof Warrior ne è la conferma. Furiosa si muove agilmente tra questi, prima con un revolver, poi con una doppietta che fa il verso al classico Winchester. La matrice dell’azione è la vendetta. La ragazza è stata privata della sua fanciullezza in un luogo idilliaco, verde, dove cresce la frutta, dove ci sono ancora i cavalli e non ferramenta motorizzata. Miller, come la sua protagonista, è intrappolato in questo luogo traviato, ma sulla sabbia ardente del deserto australiano è capace di disegnare gli archetipi di un’umanità che non cambierà mai.

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