#Cannes77: Parthenope, la recensione del film di Paolo Sorrentino

parthenope, la recensione del film

Partenope nell’antica mitologia greca è una sirena le cui spoglie sarebbero state trovate nel Golfo di Napoli. Sulle sue origini e sulla sua morte esistono diverse varianti che coinvolgono, fra gli altri nomi, anche Esiodo e Virgilio. La Parthenope di Paolo Sorrentino è una ragazza che ha tutte le caratteristiche mitologiche della sirena, senza mai essere nulla di più di una ragazzina che si approccia alla vita e all’amore per gli uomini. L’intero film è un viaggio nella giovinezza di Parthenope ed uno scorcio nella sua vecchiaia.

La commedia è certamente un genere storico del cinema italiano, un genere che fonda le sue origini nella letteratura classica e perfino nella mitologia greco-romana. La commedia che tutti noi conosciamo deriva dal neorealismo e rappresenta una fase incredibile in cui cinema drammatico, cinema realista e commedia trovano una convivenza. Questa naturale liquidità della commedia italiana ha alimentato generazioni incredibili di autori come Vittorio De Sica o Mario Monicelli e, con un sapore più amaro, Ettore Scola. Che il genere piaccia o meno dobbiamo riconoscergli una natura artistica unica nel mondo che ci ha portato ad una figura inimitabile come Federico Fellini.

In realtà, in Italia gli autori che hanno raggiunto il premio Oscar lo hanno quasi sempre fatto con commedie che viravano verso altri generi senza mai abbandonare del tutto la loro natura originale. Basti pensare che possiamo individuare Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore nel genere di base, così come Mediterraneo di Gabriele Salvatores e naturalmente anche La grande bellezza di Paolo Sorrentino. La natura della commedia non ha impedito lo sviluppo di autori come Nanni Moretti, Massimo Troisi o Francesco Nuti e perfino curiosi esperimenti che stanno diventando oggetti di culto. Un esempio ne è Nirvana di Gabriele Salvatores che, rimanendo nelle regole del genere, spazia fino alla fantascienza ed al sottogenere cyberpunk.

parthenope, la recensione

Per lo stesso principio Sorrentino si cimenta nella commedia a modo suo, aggiungendo al lato divertente e dissacrante delle sue storie e delle sue immagini anche momenti grotteschi e finanche tragici. Il processo creativo del regista costruisce un insolito equilibrio che funziona mantenendo nel suo barocco sistema l’alchimia di una leggerezza impensabile che consente all’autore di osare molto spesso l’inosabile nel cinema italiano.

La commedia italiana ha anche un suo lato meno nobile che spazia dalla commedia sexy ai famigerati cinepanettoni e che trova un suo inatteso equilibrio anche nelle commedie erotiche autoriali di Tinto Brass. Unire il regista più “etero basico” del cinema italiani a Sorrentino non è un azzardo spropositato se si considera che già con il film La grande bellezza il regista aveva scomodato attrici famose per la loro parentesi nell’erotico. Indimenticabile è infatti la presenza di Serena Grandi, protagonista del blockbuster di Brass Miranda e così come allora la matura Parthenope non è altro che la Stefania Sandrelli musa dell’altro blockbuster assoluto di Brass La chiave. Insomma, Sorrentino adora giocare con la storia della commedia e la rielabora, la ripropone mixata con i temi a lui cari nelle sue opere.

Il film parte come un curioso e poetico elogio del golfo di Napoli, della cultura napoletana, ma ben presto il racconto cambia e lentamente diventa sempre di più un racconto sui mostri della città. Lo sguardo di Sorrentino è cinico e spietato e non manca di ricordare che nella città così romantica e calda convive una terra oscura, sfortunata e dolorosa, una Napoli che si muove a braccetto con la morte e la miseria. Incantevole e incredibile è poi il segmento dedicato al sangue di San Gennaro che offre una lettura spietata e spregiudicata delle figure di potere della chiesa e gioca fra sacro ed erotico in modo assolutamente coraggioso ed estremo.

Nel finale Sorrentino si concede perfino la famosa nave che, in occasione della vittoria dello scudetto del Napoli, ha gironzolato per le vie della città. Un’immagine di pura cronaca e costume che per la sua peculiarità potrebbe essere scambiata all’estero come una citazione a Fellini. In fondo, Sorrentino sembra prendere in giro simultaneamente sia i temi dei suoi film che il suo pubblico; bisogna saper decodificare il suo gioco e ricordare che la sua autorialità è al tempo stesso arte e beffa dell’arte. Per guardare Sorrentino dobbiamo sempre ricordarci ciò che dice l’immaginario Arcivescovo del film: «Alla fine della vita resterà solo l’ironia».

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