Fabbricante di lacrime, la recensione del film su Netflix

fabbricante di lacrime, la recensione

Questo aprile è uscito su Netflix Fabbricante di lacrime (trailer). Il nuovo film diretto da Alessandro Genovesi è un adattamento dell’omonimo romanzo a sua volta trasposto della fanfiction originale spopolata su Wattpad, firmata Erin Doom. Prodotto e distribuito da Netflix.

Difficile decifrarne il genere, più identificabile è l’immaginario a cui fa riferimento: il difficile compimento di una storia d’amore tormentata tra un protagonista bello, tenebroso e reietto e una protagonista docile, ordinaria ed un po’ “sfigatella”. La ragazza, tendenzialmente “sciapetta” ma dal buon cuore, è pronta a salvare il “cucciolo ferito” che puntualmente rifiuta l’amore di quest’ultima per via di quel cliché che lo vede convinto di non meritarlo e la paura fissa del portare solo “guai” nella vita di chiunque gli si avvicini. Ma è tutta scena, questi non stanno mai realmente alla larga, creando una love story basata su alti e bassi in cui riescono sempre in qualche modo ad essere presenti nella vita delle loro “vittime in amore”, data anche la forte insistenza di quest’ultime nel negare il rifiuto.

Nica e Rigel sono cresciuti nell’orfanatrofio Grave, situato in una provincia americana del Minnesota. Rigel (Simone Baldasseroni) si trova lì sin da neonato, mentre Nica (Caterina Ferioli) perde i genitori intorno all’età di otto anni. I due ragazzi hanno due indoli diverse ed accusano differentemente le violenze morali e fisiche che subiscono in quegli anni dalla direttrice dell’orfanatrofio. Rigel crescerà come un ragazzo misterioso e tormentato e Nica come una crocerossina sempre pronta ad aiutare il prossimo. I due vengono adottati contemporaneamente dalla stessa famiglia, ma Rigel sembra tenere in sé un segreto che non gli permette di avere un normale rapporto con Nica. Così si sviluppa la loro tormentata storia d’amore. Per quanto riguarda il titolo, esso fa riferimento ad una delle storie più famose narrate nel Grave: quella del fabbricante di lacrime, un misterioso artigiano dagli occhi azzurri capace di confezionare lacrime di cristallo offrendole agli uomini che ormai vivevano in un mondo privo di emozioni e per questo incapaci di piangere.

Un tipo di love story decisamente per i millennials che torna a coinvolgere ora anche la fascia più giovane della Gen Z. Di esempi che richiamano alla lettera questo archetipo narrativo ce ne sono diversi: Twilight, 50 sfumature di grigio, Beastly, Shadowhunetrs, Riverdale, Fallen, ecc. Alcuni hanno avuto molto successo e risultano più tollerabili, a tratti anche piacevoli, altri l’opposto ma non si vuole fare di tutta l’erba un fascio. Ma cosa accomuna i flop di questo genere? Quando questo immaginario si sposta dalle pagine allo schermo e non riesce a staccarsi dalla carta. Così come è stato per Fallen (famoso ed apprezzabile romanzo di Lauren Kate) anche Fabbricante di lacrime sembra non arrivare all’altezza delle aspettative, anche per molti degli stessi fan. Per chiunque altro non avesse letto il romanzo, e per questo incuriosito dal vedere finalmente questo bestseller sullo schermo, quest’ultime già non erano altissime. Questo perché si tratta dell’adattamento di una fanfiction e non un romanzo tout court, un tipo di scrittura relativamente recente per quanto riguarda gli adattamenti cinematografici, il più famoso è After del 2019.

La fanfiction è un genere letterario di cultura bassa, scritta basandosi su qualcosa preesistente, che sia letteralmente una narrazione (film o libro) o un archetipo narrativo ben noto e schematico (come quello sopra descritto del dark romance). In quest’ultime i fan giocano con la propria immaginazione e cercano di colmare il vuoto di ciò che “avrebbero voluto” leggere o vedere nelle storie loro raccontate. Ne consegue che in queste narrazioni tutto ruoti attorno ai personaggi, che sono l’elemento di maggiore feticizzazione di queste storie. Dai personaggi si parte per costruire dei nuovi “what if” inesplorati, con un’ampia dose di melodrammaticità. Un tipo di scrittura lontana da quella di un’opera originale, un romanzo con la “R” maiuscola, che significa strutturare tutto dall’inizio, in cui bisogna creare un nuovo mondo e le sue regole, far nascere i personaggi e soprattutto inserirli in una trama che va al di là delle loro interazioni.

È proprio questo elemento che manca nelle fanfiction che si risente maggiormente sullo schermo e nell’adattamento del Fabbricante di lacrime : la mancanza di un’arena. L’arena è il mondo in cui personaggi vivono, in cui “giocano” verso l’ottenimento dell’obiettivo (in questo caso la coniazione della storia d’amore) incontrando i vari ostacoli. L’arena ci offre la backstory dei personaggi che influenza chi sono ora, le loro relazione sociali, ecc. Tutto questo nel Fabbricante di lacrime è assente. Ad esempio, noi spettatori non sappiamo molto del passato dei protagonisti al Grave e di conseguenza perché Rigel è tormentato; lo intuiamo ma non capiamo bene perché. Questo suo tormento non viene esplorato, eppure di chiacchiere inutili nel film ce ne sono molte, ci viene banalmente introdotto da una micro-scena in cui il ragazzo prende degli psicofarmaci.

La backstory dei protagonisti ci viene paradossalmente rivelata alla fine del film, prima di questo non sappiamo chi e cosa concretamente si opponga al loro amore. Solo alla fine scopriamo che si tratta di un rapporto ostacolato sin da bambini dalla direttrice dell’orfanatrofio. I protagonisti sono totalmente decontestualizzati dal mondo in cui vivono anche nel loro tempo presente, che procede a sua volta per vacuità. Lo notiamo ad esempio nella disputa tra Rigel ed il biondino più figo della scuola (Lionel, Alessandro Bedetti) per la mano di Nica. Sappiamo, non vediamo, che i due fanno a botte una decina di volte. Sappiamo che Lionel si è innamorato di lei ma non capiamo il come (li vediamo mezza volta che prendono una tisana) e che lei non lo vuole ma continua ad avvicinarlo e quando Rigel lo picchia, giustamente, lei lo sbaciucchia come premio.

Si percepisce la fatica e la superficialità di questo adattamento. Oltre ai dialoghi sterili, irrealistici ed inutili, resi ancora più surreali dalla recitazione monocorde ed inespressiva, il problema di fondo è decisamente la voce narrante. La voice over nel cinema è un’arma a doppio taglio, se usata bene da un tocco particolare in più alla storia, se usata male è un disastro. Quando utilizzata deve essere funzionale al racconto, alla trama o perfettamente infiltrata con particolari escamotage (es. Gossip girl) altrimenti viene generalmente evitata per evitare di dare l’impressione di “lettura di una storia”, proprio l’effetto che invece da Nica nel Fabbricante di lacrime. I film raccontano con le immagini, non si dicono le emozioni dei personaggi ma le si fanno vedere.

 La domanda da farsi a questo punto è: a cosa serve a noi spettatori questa voce narrante? La voice over di Nica non ci aggiunge nessuna informazione e sicuramente non da verve alla narrazione, al contrario, l’affossa risultando “cringe”. La rende spiacevole, con tutte quelle frasi trite, rimbombanti e melense per di più letteralmente copiate ed incollate dalla fonte letteraria. Come: «riuscivo ancora a sentire l’impronta delle sue dita, come se mi avessero marchiato a fuoco. Il suo fascino velenoso era infestante», «Noi siamo rotti, siamo scheggiati. Certe cose non si possono riparare. È vero, ma forse ci siamo spaccati in mille pezzi solo per incastrarci meglio». Il resto è preferibile lasciarlo al film. 

Abbiamo dunque un film in cui le scene sembrano sconnesse, la “recitazione” non è pervenuta, attori influencer e direi anche una fotografia abbastanza “strana”. Nelle inquadrature i volti ed i mezzi busti occupano tutta l’immagine, il retro spesso è particolarmente non a fuoco, il tutto esaltato da una sorta di filtro Instagram alla Twilight. Avrà dei lati positivi? Sicuramente il successo che questa produzione italiana sta riscuotendo all’estero. Banalmente: visibilità e monetizzazione, sperando, da investire in altri prodotti italiani di una fattura migliore. Inoltre, questo film solleva un problema ed una necessità: sviluppare modalità più adeguate per l’adattamento di i materiali provenienti dai fan. Probabilmente la soluzione sarebbe sviluppare un processo che resti fedele alla trama (nessuno vuole vedere branchi di lettori-fan infuriati) ma che ne complessifichi l’arena e ne riscriva i dialoghi da zero. Oppure spingere Netflix, e altre piattaforme di questo tipo, a terghetizzare questi nuovo tipi di adattamenti sotto un genere specifico, così che lo spettatore possa sapere a cosa va incontro.

Per tirare le somme, quale è il problema di questo film? Perché ha ricevuto così tante critiche? Banalmente perché non è un adattamento cinematografico ma un libro con le figure, meglio ancora (o peggio), un fotoromanzo. Come nei fotoromanzi, qui gli attori occupano tutto lo spazio dell’inquadratura e della trama, mostrandoci una recitazione più vicina alla staticità della carta che alla realtà. Mi spiace Netflix ma, come cita il tuo pollice in giù, “non fa per me”.

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