#MedFilmFest29: Matria, la recensione del film di Álvaro Gago

Álvaro Gago riesce ad immergere totalmente lo spettatore nella vita di Ramona (María Vázquez) catapultandolo all’interno di una sua “giornata tipo” per favorire l’instaurarsi di un’ istintiva empatia tra la donna e chi la osserva. La protagonista non sembra essere in grado di prendersi un momento neanche per respirare mentre pedala da un lavoro ad un altro in quella che ci appare come una giornata, non più di ventiquattro, ma bensì di quarantotto ore. Matria (trailer) è un prodotto che deriva dall’omonimo cortometraggio del regista, vincitore del premio della giuria al Sundace Film Festival del 2018. Il film è stato presentato in concorso alla ventinovesima edizione del MedFilm Festival. La storia è lineare e incentrata totalmente sulla protagonista, che è presente in ogni singola scena del film, e sul suo arco di trasformazione. Un approccio “classico” quello di Gago ma, non per questo, scontato o noioso.

Il ritmo frenetico delle prime scene ci accompagna per tutta la durata del film (100 minuti) creando una dimensione temporale bizzarra dove in pochi minuti accadono molteplici avvenimenti; elemento voluto anche all’interno della narrazione in cui le persone vicine a Ramona non fanno in tempo a dispiacersi per il suo licenziamento che la donna ha già trovato un altro lavoro. Difatti, il cambio della direzione della fabbrica in cui Ramona lavora comporta la diminuzione del salario delle lavoratrici; situazione ingiusta e umiliante che spinge Ramona -dopo ben otto anni di servizio- a lasciare l’edificio tra urla e insulti vari. Nella sequenza successiva la vediamo guidare in lungo e in largo alla ricerca di un nuovo lavoro.

Questa corsa contro il tempo si arresta nel molo della piccola città galiziana dove, in un momento di stasi, vediamo la protagonista fumare aggressivamente una sigaretta e videochiamare una cara amica. La prima boccata d’aria, che si tramuterà in una vera e propria serata di follie tra donne, in ricordo di una ormai lontana giovinezza, quando la suddetta amica la sorprende con una visita non programmata. L’amica (Susana Sampedro) appare l’unica ad avere un buon rapporto con la protagonista, incastrata in una relazione decisamente tossica con Andrés (Santi Prego) e incapace di comunicare con la figlia Estrella (Soraya Luaces); eppure anche quest’ultimo legame pare incrinarsi quella notte quando Ramona accusa la donna di vivere una vita privilegiata.

Un altro elemento importante, che emerge prepotentemente, è il fatto che il carattere della protagonista -impulsiva e decisamente testarda- e l’estrema foga che utilizza nel rapportarsi agli altri non sono che una corazza, che Ramona usa per proteggere il suo lato più fragile dal mondo esterno. Così come l’eccessiva dedizione al lavoro rappresenta un palliativo utile per evitare di affrontare i problemi presenti nella sua vita. Grazie al suo nuovo lavoro come donna delle pulizie, però, Ramona inizia il suo personale percorso di crescita. Il nuovo impiego la immerge in una dimensione di pace mista a perdita -quella della moglie dell’uomo per cui lavora- che la riporta continuamente a pensare alla figlia. Ramona e Estrella, difatti, non riescono a comunicare proprio a causa dell’impetuosità della protagonista che vuole spingere la figlia a continuare gli studi screditando continuamente il fidanzato di quest’ultima, proprietario del bar dove Estrella lavora.

Il ritmo della narrazione segue il cambiamento di Ramona dando maggiore spazio a scene introspettive, seppur mantenendo un ritmo veloce. Un film che racconta un personaggio chiaramente iper-umano, di cui possiamo elencare difetti e punti di forza, deciso a cambiare la propria esistenza attraverso l’atto di fermarsi e, semplicemente, respirare.

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