#Cannes77: The Shrouds, la recensione del film di David Cronenberg

The Shrouds, la recensione del film di David Cronenberg presentato in Concorso a #Cannes77

La sindone genericamente è un lenzuolo funerario in cui viene avvolto il cadavere, nel corso dei secoli questo oggetto ha cambiato materiale ma in qualche modo è sempre rimasto in uso in moltissime culture. Il termine sindone deriva dal greco σινδών (“sindon”) e la sua applicazione non era limitata al rito del funerale ma poteva intendere un generico ampio lenzuolo da svariati usi. La parola di per sé nella cultura italiana rimanda invece alla famosa sindone di Torino. Il titolo del film di David Cronenberg The Shrouds (trailer), in inglese, è pienamente traducibile come “Le sindoni” anche se per ragioni di ambiguità rispetto alla nostra idea di sindone potrebbe benissimo essere tradotto in Italia anche come “sudario”.

Nel film compaiono queste creazioni in alta tecnologia (sindoni o sudari che siano) che non si limitano solo ad avvolgere un cadavere, ma, grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale, lo scansionano in tempo reale trasmettendo ad un sistema audiovisivo l’evoluzione in diretta della decomposizione. Le sindoni digitali di The Shrouds nascono per ragioni di ricerca medica ma progressivamente vedono, grazie ad un imprenditore in lutto, uno sviluppo commerciale del tutto nuovo.

Karsh, un convincente Vincent Cassel, ha creato un piccolo impero di cimiteri privati sparsi in tutto il mondo. All’interno di queste strutture è possibile fruire di un ristorante di lusso a ridosso delle lapidi, per poi recarsi presto il proprio estinto ed attraverso il proprio cellulare vedere la scansione della sindone digitale e lo stato di decomposizione del corpo del parente. Karsh scopre che questa particolare pratica consente di soddisfare una forma di vouyerismo e nello stesso tempo appagare la sofferenza di chi è in lutto. Non è più la nudità a soddisfare lo sguardo più oscuro, ma la decomposizione della nudità… Benvenuti nel mondo di Croenenberg.

Il sesso, il cibo e la morte sono elementi che compongono tutti i racconti umani e sono ossessioni, pensieri latenti, costanti nel cervello umano. Almeno questo è ciò che ci insegna la psicanalisi, ma anche la religione tratta questi temi costantemente anche reprimendoli. La perversione e l’osservazione della decomposizione – della mutabilità e la distruzione del corpo – sono temi che nel Novecento hanno ossessionato anche l’arte contemporanea. Georges Albert Maurice Victor Bataille ha scritto molti saggi in merito alla decomposizione o la trasformazione della materia. La sua teoria dell’informe è in fondo alla base di quasi tutta l’arte contemporanea. Già Luis Buñuel aveva pienamente espresso al cinema il suo legame con la decomposizione e l’estetica della trasformazione della materia. Oggettivamente, anche le opere pittoriche quanto quelle cinematografiche di David Lynch dimostrano ampliamente una vera evoluzione e definizione personale di questi principi.

Croenenberg non è assolutamente da meno e la fusione della materia, la sua mutazione e la sua decomposizione sono temi ricorrenti in tutta la sua cinematografia. Il sudario che viola l’ultimo tabù del privato – il corpo senza vita che non può più giuridicamente difendersi – è già di per sé un tema dalle possibilità amplissime, ma Croenenberg va molto oltre questo confine. Per poter vedere meglio ed in modo più dettagliato la decomposizione il sistema viene potenziato dall’intelligenza artificiale, quella creatura utopica che immaginiamo possa sempre essere fedele al nostro fianco ma che potrebbe sempre diventare lo strumento manipolato di un ingerenza esterna.

E se un abile hacker potesse crackare il sistema come potremmo mai riavere i preziosi servizi funerari della nuova frontiera? David Cronenberg con The Shrouds gira un film ricchissimo di spunti e con tematiche che puntano all’horror psicologico più che a quello canonico. Forse, proprio per questo deve concentrarsi su dialoghi complessi e articolati che sacrificano talvolta il ritmo del racconto. Il risultato finale è un film intelligente sulla banalità della perversione umana e sulle soglie del dolore interiore, oltre la quale appare esservi solo pazzia e depravazione.

Ti potrebbero piacere anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ho letto la privacy policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali ai sensi del Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) e del D.Lgs. n. 196 del 2003 cosi come novellato dal D.Lgs. n. 101/2018.