#FEFF25: Hidden Blade, la recensione del film di Cheng Er

Hidden Blade di Cheng Er conta su un cast e maestranze strepitosi per questo film a tinte forti, che segna il ritorno della carismatica star di Hong Kong Tony Leung Chiu-wai. Il film è ambientato durante l’occupazione giapponese della Cina, durante la Seconda Guerra Mondiale, e rappresenta il terzo capitolo della fortunata trilogia China Victory Trilogy . L’opera è caratterizzata da un gioco di flashback e flashforward che confondono lo spettatore, costringendolo a domandarsi sempre di chi aver fiducia e di chi sospettare, così come probabilmente è stato nel gioco di spie che l’opera racconta. L’uscita del film, girato nel 2021, era prevista per il 2022, ma è stata rimandata per sfruttare il capodanno cinese del 2023, raggiungendo così un incasso vertiginoso di oltre 135 milioni di dollari. Se da una parte ci troviamo di fronte alla solita dicotomia dei giapponesi cattivi e dei cinesi buoni (ma per la Cina occupata non potrebbe che essere così), dall’altra abbiamo una produzione sofisticata, di altissimo livello con un’estetica sorprendente e dei divi di pesantissima taratura.

Il film infatti va visto oltre la sua natura propagandistica. Si tratta di un prodotto esteticamente suggestivo con momenti ricchi di emozione: se il primo atto vuole definire il contesto storico ed il gioco di spie, il secondo atto gioca tutto sul montaggio, scorporando la linearità temporale ed obbligando lo spettatore a comprendere la storia più attraverso i sensi piuttosto che mediante la continuità narrativa. Solo nel terzo atto questo gioco di salti temporali spingerà lo spettatore verso una soluzione univoca e ben definita, che troverà nel catartico combattimento a mani nude fra i protagonisti maschili il suo spettacolare epilogo. Hidden Blade, sebbene sembri alla prima visione molto complesso, si rivela, con le soluzioni finali, molto più comprensibile e ben strutturato, un film che può funzionare per tutti e che ha come suo pregio un culto dell’immagine che ne giustifica da solo la visione in sala.

Il prodotto finale è un trionfo di sensualità e suggestioni visive che si allontanano molto dal tema originale dell’opera. Appare con chiarezza che all’autore la contestualizzazione storica interessi fino ad un certo punto, privilegiando piuttosto la rievocazione del costume e del fascino di un epoca. La ricostruzione ovattata e studiata dell’ambiente, del trucco e del vestire diventa perciò preponderante, portando lo spettatore sempre più verso una visione incantata ma distaccata, che fa bene agli occhi ma forse lascia perplessa la mente, desiderosa di più stimoli sia dalla storia che dal messaggio dell’opera.

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