Un gentiluomo a Mosca, la recensione della serie su Paramount+

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1922, Mosca. La rivoluzione bolscevica ha preso il pieno potere, instaurando profondi cambiamenti a livello politico, culturale e sociale; una fase storica che continuerà, come sappiamo, con alterne vicende fino alla caduta del muro di Berlino nel novembre 1989. Uno dei cambiamenti indotti dal nuovo corso consiste nell’abolizione dei titoli nobiliari e della relativa confisca dei beni, in un’ottica di ridistribuzione della ricchezza e uguaglianza sociale compiuta anche attraverso arresti o, nel peggiore dei casi, esecuzioni sommarie delle figure aristocratiche.

In questo scenario si apre Un gentiluomo a Mosca (trailer), la nuova serie di Paramount+ ispirata all’omonimo romanzo di Amor Towles. La storia ci presenta il conte Aleksandr Il’ic Rostov (Ewan McGregor) durante il processo condotto dai bolscevichi. Pur essendo un aristocratico e quindi destinato alla morte, Rostov viene risparmiato perché gli si attribuisce erroneamente il merito di aver scritto da giovane un poema in favore del comunismo. Sebbene la sua vita sia salva, c’è però una condizione: deve trascorrere il resto dei suoi giorni confinato all’interno del Metropol Hotel. Se dovesse mai uscire, verrebbe immediatamente giustiziato. Seguiamo dunque tutti i suoi anni passati all’interno del fastoso albergo tra una nuova consapevolezza di sé, intrighi politici e conoscenze speciali come la piccola Nina Kulikova e l’attrice Anna Urbanova (Mary Elizabeth Winstead), mentre di sottofondo scorrono la storia dell’Unione Sovietica e le eco del “secolo breve”.

La miniserie in otto episodi si svolge quasi interamente in interni e rappresenta, con splendide scenografie e costumi curati, l’atmosfera cosmopolita e inclusiva che si respira nell’ambiente dell’epoca e si rispecchia nel lusso del Hotel Metropol. Quest’ultimo, vasto e particolare, brulicante di personaggi che lo visitano, offre sicuramente molte soluzioni narrative che contribuiscono ad accrescere la curiosità dello spettatore, portando avanti diverse storyline, più o meno approfondite.

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Sebbene non manchino colpi di scena e momenti ad alta tensione, si ha l’impressione che si sarebbe potuto fare di più; gli episodi scorrono nel complesso con un ritmo forse troppo lento, rendendo quasi difficile giustificare la lunghezza di circa 50 minuti per puntata (standard ormai della maggior parte delle serie tv). Inoltre, alcuni personaggi rimangono poco definiti, lasciando la sensazione che avrebbero potuto essere approfonditi maggiormente. Uno di questi è ad esempio Mishka (Fehinti Balogun), amico di lunga data del conte, con un arco narrativo interessante ma che finisce per non lasciare un segno decisivo nella storia del protagonista. Il passato di Aleksandr ci viene svelato nel corso degli episodi attraverso brevi flashback e racconti, ma anche in questo caso non riusciamo a cogliere pienamente quanto accaduto e come ciò abbia avuto ripercussioni sulla sua vita attuale.

D’altro canto, la miniserie è sostenuta da interpretazioni di alto livello, a cominciare da un Ewan McGregor perfettamente calato nella parte, che aiuta a rendere la figura del conte ancora più originale, soprattutto grazie al lavoro svolto nel mostrare non solo i suoi cambiamenti con il passare degli anni e la relativa crescita interiore tramite le relazioni intraprese, ma riesce anche a trasmettere una nota umoristica utile ad alleggerire la quotidianità non sempre facile da sopportare. Colpiscono anche le performance di Alexa Goodall (Nina) e Beau Gadson (la piccola Sofia), giovani interpreti con cui McGregor dimostra un’ottima chimica.

Un gentiluomo a Mosca è sicuramente una serie che si lascia guardare e che funziona meglio con una visione che si prende i suoi tempi, permettendo di gustare le atmosfere e i dettagli della storia, rispetto alla classica modalità del binge watching. È una storia con un animo molto più caldo di quanto ci si aspetterebbe dall’ambiente sovietico che ruota intorno, capace di mostrare come il valore delle nostre vite si costruisca a partire dai rapporti con chi abbiamo accanto, a prescindere da dove ci troviamo.

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