A passo d’uomo, la recensione: 1300km a piedi attraverso la Francia

A passo d'uomo, la recensione del film

A passo d’uomo (trailer) è un film tratto dal romanzo Sentieri Neri di Sylvain Tesson, appassionato viaggatore, amante della natura selvaggia e noto scrittore francese. Già la sua opera La pantera delle nevi ha assistito ad una trasposizione cinematografica, dando luce all’omonimo docufilm presentato a Cannes 2021.

Pierre (Jean Dujardin), alter ego dello scrittore, è un uomo di mezza età, scaltro, affascinante e benestante, che nella vita si dedica all’avventura e alla scrittura. Vive a Parigi, insieme alla fidanzata e la sua vita sembra restituirgli tutto ciò di cui ha bisogno, anche se alcuni indizi lasciano intendere che il protagonista abbia una sorta di ferita aperta. È proprio in uno di questi momenti di frattura con la realtà che ha origine un evento traumatico: Pierre subisce un grave incidente che potrebbe costargli, fra i vari danni, la mobilità di una gamba; in particolare, la sua identità da escursionista avventuriero sembra frantumarsi improvvisamente, condannata all’immobilità. Da qui ha origine la sfida che il protagonista si propone di superare: se il recupero della sua salute andrà a buon fine, Pierre attraverserà a piedi la Francia, dalle Alpi fino all’oceano.

Ecco dunque che il film narra, in continuo montaggio alternato fra flashback e presente, il viaggio che Pierre compie attraverso la sua nazione, un territorio che sembra inesplorato e sconosciuto, perché mai osservato con quel prezioso sguardo critico e consapevole che il protagonista ha ereditato dall’incidente subito. Durante il viaggio, Pierre annota le sue riflessioni e i suoi pensieri, facendosi ispirare dai suggestivi ambienti francesi in continuo cambiamento, dalla montagna al mare, dalle sorgenti alla totalità.

A passo d'uomo, la recensione del film

Nonostante il film abbia tutte le carte in tavola per offrire una narrazione edificante ed avvincente, il risultato si pone al di sotto delle aspettative sperate. Ciò di cui la storia patisce l’assenza è una reale caratterizzazione del personaggio, un relativo processo evolutivo che scandisca con nessi causali e motivati una così importante sfida. Di Pierre sappiamo poco prima e sapremo poco dopo. Spesso le informazioni che ci giungono non sono totalmente convincenti o esaustive; della ferita aperta del protagonista vediamo pochi minuti, insufficienti da giustificare la catena di eventi a cui assisteremo; il suo nuovo sguardo critico non trova una reale essenza o impatto nel suo comportamento intimo e interpersonale; il rifiuto della vita precedente, vista ora come espressione di cecità e superficialità, rischia di rimanere espressa e difesa con frasi fatte e luoghi comuni, non mediante dei reali propulsori per l’azione o dei moventi abbastanza profondi da stravolgere la vita interiore del personaggio.

Lo stesso viaggio (che sembra fiaccamente strizzare l’occhio ad Into the wild) spreca molte delle numerose tematiche proposte dalla narrazione: il rapporto della familiarità con una sorella, di fratellanza con un amico o uno straniero, ma soprattutto l’imprescindibile rapporto uomo-natura, uomo-animale, il rapporto dell’uomo con la religione. É come se l’intero percorso, fisico e spirituale del personaggio, si sbilanci sulla sua portata denotativa piuttosto che connotativa: anziché assistere ad un’avventura, vediamo un semplice itinerario.

In sala dal 19 ottobre.

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