#Venezia80: Pet Shop Days, la recensione del film di Olmo Schnabel

Recensione di Pet Shop Days, film presentato a Venezia 80 in Orizzonti Extra

Pet Shop Days, nuovo film del giovane regista inglese Olmo Schnabel presentato all’ottantesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti Extra, inizia in una stanza da letto di una villetta sontuosa in Messico per poi spostarsi repentinamente tra le strade fumose di New York. Alejandro, interpretato da Dario Yazbek Bernal, e sua madre si stanno preparando per festeggiare il compleanno di lei: i sorrisi complici che si scambiano li fanno sembrare due amanti. L’onda d’urto che si genera a partire da un evento traumatico farà crollare la gabbia di cristallo in cui Alejandro si sente imprigionato.

Alle circostanze che lo annientano lui risponde travolgendo ogni cosa che incontra durante il suo soggiorno a New York, a partire da Jack (Jack Irv), un suo coetaneo apatico e depresso, a detta del carismatico padre. L’incontro tra Jack e Alejandro, due anime fragili, dotate di una forza elettrica capace di far esplodere il mondo intorno, avviene davanti al piccolo negozio di animali nel Bronx, in cui Jack lavora come commesso. Una canzone dei Pet Shop Boys riconosciuta alla radio darà avvio al loro vagare delirante tra droghe, crimini e sesso. La compensazione delle solitudini reciproche darà forma a un vortice inarrestabile di passione e violenza, un incendio che si consumerà in una manciata di giorni.

Nonostante la presenza di grandi attori nei ruoli secondari (Willem Dafoe, Emmanuelle Seigner, Peter Sarsgaard, Jordi Mollà) sono i due giovani interpreti Yazbek e Irv (qui al loro esordio) a conquistare la scena, con i loro corpi agli antipodi: da una parte quello minuto e nervoso di Alejandro con uno sguardo traboccante di rabbia, dall’altra quello efebico di Jack dallo sguardo vuoto pronto a immergersi in quello dell’altro. Mentre Alejandro tenta di svincolarsi da una famiglia criminale, Jack sta annegando nelle ipocrisie della sua famiglia borghese disfunzionale. Per il suo svolgersi in un arco di un tempo limitato, per il ritmo sostenuto e la rappresentazione di personaggi al limite, Pet Shop Days ricorda il cinema dei fratelli Safdie (Uncut Gems, Good Time), mentre la New York dalla grana nostalgica impressa su pellicola di Schnabel raccoglie l’eredità della New York raccontata negli anni Settanta in titoli come Taxi Driver. Non a caso, Martin Scorsese è il produttore esecutivo del film.

Olmo Schnabel già nel suo primo film – Giants Being Lonely – aveva dimostrato una certa sensibilità nel mettere in scena le problematiche dei giovani della sua generazione, in particolare nel contesto dell’America più marginale. La macchina da presa non si allontana mai troppo dai due sognatori alla deriva. Dove gli interni vengono resi stretti e soffocanti e più volte sono presi d’assalto dai due giovani ricolmi di rabbia, tra vetri rotti e pareti deturpate, le strade notturne hanno contorni sfumati come a voler riprodurre la visione offuscata di una generazione smarrita. Sebbene un amore così travolgente come quello raccontato da Schnabel porti inevitabilmente ad uno schianto, rimasti soli contro il mondo, di notte in un negozio di fiori, Alejandro e Jack riescono a concedersi un momento di tregua dalla folle corsa verso la libertà.

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