#TusciaFF18: Volevo nascondermi, il rimedio al dolore

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Da un lato, la facciata del Palazzo dei Papi che nel 1951, insieme alla loggia e alla scalinata principale, funse da cornice al maestoso Otello diretto e interpretato da Orson Welles. Dall’altro, la cattedrale di San Lorenzo e l’omonima piazza, fra le location più rilevanti della serie TV Il maresciallo Rocca, diretta da Giorgio Capitani e interpretata da Gigi Proietti.

È in questa preziosa zona del centro storico di Viterbo che in questi giorni si sta svolgendo la 18esima edizione del Tuscia Film Fest, il festival cinematografico più importante dell’Alto Lazio, inauguratosi quest’anno con la proiezione di Hammamet e l’incontro con il regista Gianni Amelio.

La seconda serata si è conclusa ieri sera con la proiezione di Volevo nascondermi (trailer), film del 2020 diretto da Giorgio Diritti e interpretato da Elio Germano nel ruolo del pittore e scultore naïf Antonio Ligabue, per il quale ha vinto l’Orso d’argento per il miglior attore al Festival di Berlino.

«Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole», intonava Fabrizio De André nella canzone Un matto, presente nell’album Non al denaro non all’amore né al cielo (1971). È proprio con questo temperamento che Giorgio Diritti ci introduce alla storia di Antonio Ligabue. Infatti, il film inizia con una serie di momenti diversi della vita di Ligabue (infanzia, adolescenza, età adulta), nei quali viene mostrata l’incomunicabilità del pittore dovuta ai disturbi psicofisici che lo addolorano e alla prepotenza, soprattutto verbale, di chi gli sta intorno.

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Il senso di inferiorità e timore avvertito da Luciano viene calcato dalla fotografia di Matteo Cocco (premiato ai David di Donatello e agli European Film Awards): i volti delle persone che si frappongono a lui sono scuri, tenebrosi e angoscianti, così come il volto del protagonista, il quale si nasconde quasi nell’ombra.

Gli occhi con i quali Ligabue, ed Elio Germano, vedono il mondo sono centrali nel film: tutto viene dettato da come egli si interfaccia al mondo. L’oscurità dell’inizio man mano si affievolisce lasciando spazio ai colori e alla luce. Da questo punto di vista, l’incontro con Renato Marino Mazzacurati e sua madre, interpretati rispettivamente da Pietro Traldi e Orietta Notari, è il vero displuvio del film. In questo momento specifico, Ligabue si accosta definitivamente alla pittura, scoprendo il mezzo ideale di comunicazione che non aveva trovato nella parola.

La pittura e, in particolar modo, il rapporto con gli animali e la natura sono il vettore principale di Ligabue verso la propria individualità personale. Non solo: Ligabue si rapporterà anche con la modernità, simboleggiata dalla sua passione per le moto. Ritroverà anche in essa un certo senso di fascino e, soprattutto, la pace interiore che egli aveva cercato per una vita.

La resa finale del personaggio di Ligabue è incredibilmente palpabile, grazie allo splendido trucco e all’ottima interpretazione di Elio Germano. La forza della sua prova attoriale si può riscontrare soprattutto negli occhi e nel corpo. È molto importante, quindi, la fisicità della sua prova, più che la parola, ed è proprio perché si sta parlando di Antonio Ligabue che questa scelta è stata vincente per l’incarnazione di Elio Germano.

La seconda serata del Tuscia Film Festival volge al termine con l’applauso e la fascinazione per un film che parla di esseri umani e di arte, in un’atmosfera e in un luogo pregni di arte e storia che hanno beneficiato la visione del film di Giorgio Diritti.

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