#RomaFF18: La Passion de Dodin Bouffant, la recensione del film di Trần Anh Hùng

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Dopo il successo raggiunto a Cannes coronato con la vittoria del Prix de la mise en scène al regista, arriva sugli schermi della Festa del Cinema di Roma nella categoria Best of 2023 La Passion de Dodin Bouffant (trailer), il nuovo film di Trần Anh Hùng. È uno scorcio bucolico della Francia di fine Ottocento che dona un luogo alla nostra storia. Eugénie (Juliette Binoche) lavora al fianco del talentuoso e noto gastronomo Dodin Bouffant (Benoît Magimel). La collaborazione ventennale tra i due è molto più che una semplice intesa lavorativa, il loro legame è unico e speciale. I fornelli della cucina mai ferma e l’intensità nella descrizione di ogni passaggio nella preparazione dei pasti si specchiano nel rapporto tra queste due anime fragili. Ogni parola aggiuntiva sulla trama sarebbe di troppo. La poesia delle immagini e dei dialoghi, centellinati e sempre precisi, sono abbastanza per tessere le lodi di questo dipinto impressionista.

In questo ritratto campestre la cucina è la chiave di tutto. La cucina è scienza, antenne di rame e zinco per migliorare le prestazioni dell’orto e reazioni chimiche per ricette innovative. La cucina è storia, ogni ricetta ha un ideatore che crea un solco nel tempo per arrivare nei piatti dell’ieri, dell’oggi e del domani. La cucina è filosofia, un’interpretazione del modo di vivere quotidiano. La cucina è religione, la storia dell’uomo secondo la concezione cristiana parte da un pasto sbagliato dopotutto. La cucina è amore, l’amore plasmato dalle materie prime, massaggiate e curate come figli; l’amore di chi sa gustare un piatto, di chi riesce a riempire la dualità di stomaco e mente; l’amore che torna indietro allo chef, negli occhi di chi lo guarda con la luce riflessa in lacrime di commozione. La cucina è vita.

L’assenza di un accompagnamento musicale, sostituita dall’incessante cinguettare e paupulare che gioca coi ricordi di un’infanzia vissuta lontano dal chiasso metropolitano, ci immerge in un realismo disarmante e coinvolgente. La sensazione è quella di spiare, come da bambini, le mani esperte di chi conosce i segreti celati nei tomi di ricette. Veniamo avvolti nel silenzio dell’apprendista che osserva con ammirazione il lavoro del maestro nel suo atelier. La tenerezza salverà il mondo, e non ce ne possiamo dimenticare. I personaggi ce lo ricordano sempre; sia nei piccoli e grandi gesti di questa coppia eccezionale, sia nel contorno, gli amici e i colleghi, preziosi confidenti ed aiutanti, fidati ammiratori delle gesta dei nostri protagonisti. Non c’è carnalità animale tra i due, non c’è desiderio volgare. Quello che c’è invece è la sincerità della condivisione, la reciproca stima, la dolcezza in una risata.

Il risultato è travolgente, un cinema di tempi perduti realizzato da una sensibilità spiccata. È la supremazia dell’umano sentire a vincere il confronto con il sensazionalismo da fuochi d’artificio. Trần Anh Hùng resta sapientemente in controllo, non si lascia sopraffare dal bisogno di manifestazioni superflue, rimanendo fermamente attaccato a questa favola. Se già ci aveva convinto con il suo personalissimo adattamento dal romanzo Norwegian Wood di Haruki Murakami, ora non ci lascia dubbi: è una stella lucente del firmamento autoriale contemporaneo. Questa è una dimostrazione coesa e intatta di come ancora possiamo piangere davanti allo schermo senza ricorrere alla pornografia del dolore (di cui tanto si è parlato nell’ultimo periodo). Questo è il cinema delle emozioni, quello che non sfocia in arzigogoli e virtuosismi, affidandosi completamente ad una sceneggiatura ricca di verità.

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