#Venezia78: The Last Duel, recensione del film di Ridley Scott

The Last Duel recensione film Ridley Scott DassCinemag

Non era facile fare il film che invece Sir Ridley Scott è riuscito a rappresentare con successo sul grande schermo. Non era facile racchiudere dentro un dramma epico in costume come The Last Duel (trailer) una linea retta che taglia 700 anni di Storia e con su scritto «there is only the power of men».

Non era facile, insomma, andare a cogliere come ha fatto in sceneggiatura il trio composto da Matt Damon, Ben Affleck e Nicole Holofcener nelle pieghe del mito che incrocia la verità l’ultimo apparente duello d’onore approvato nella Francia di fine 1300 e costruirci sopra un racconto che quella verità la frammenta e la rende questione percettiva, dei punti di vista distorti dall’ego e dall’orgoglio. Di due uomini, soprattutto, contendenti nel sangue di una propria verità davanti agli occhi di Dio, dimentichi e disinteressati del tutto dell’oggetto della contesa: uno stupro, una violazione del corpo di una donna.

Sembrano esserci solo loro, i due amici Jean de Carrouges (Matt Damon) e Jacques Le Gris (Adam Driver) che combattono assieme e si salvano la pelle a vicenda, salvo poi scivolare in un baratro dove i rapporti si inaspriscono, gli sguardi si fanno cagneschi, la rivalità viene sancita da un guanto di sfida lasciato in terra. Due scudieri agli antipodi per carattere e concezione del servire, uno austero e fedele all’ideale di una corona a quei tempi sotto la guida del re folle Carlo VI, l’altro vicino a ciò che si può toccare con mano, fido consigliere del conte Pierre (un Ben Affleck centratissimo) e dei piaceri della carne.

A 44 anni dall’esordio dietro la macchina da presa con I duellanti, Ridley Scott sceglie quindi ancora una volta, con estrema intelligenza, di confrontarsi con un progetto che discute la mascolinità che si rende tossica in virtù di una virilità fragile celata dietro il prestigio del nome e della necessità di una riaffermazione continua (io mi espongo, io rischio la vita, io sono infangato). E quello di The Last Duel è un progetto intelligente perché si inserisce in un solco storico del presente ben preciso, dove la voce di donna non è più lamento in sottofondo (la faccenda, suggerirà una nobildonna d’altri tempi, «should be settled quietly»), ma principale testimonianza.

Il film giostra particolarmente bene questo discorso sezionando le sue quasi due ore e quaranta (mai pesanti, mai di troppo) in tre parti o capitoli, dedicando i primi due a “la verità secondo” il marito Jean e l’accusato Jacques, controcampo uno dell’altro la cui rappresentazione visiva dei momenti in comune muta quasi impercettibilmente. Poi, infine, arriva la verità secondo lei (LA verità, come prende posizione il film), la Marguerite di una straordinaria Jodie Comer lasciata con estrema arguzia nello sfondo dei racconti degli uomini, moglie perfetta e il cui onore è da proteggere per l’uno, tentatrice alla ricerca di un amore segreto per l’altro.

The Last Duel qui si espone e testimonia il femminile, dal cui punto d’osservazione tutto si modifica, i momenti di dolcezza del prima adesso sono aridi e gelidi, gli istanti di un affaire consumato nella passione si fanno ora violazione brutale. Anche la scelta del metodo di risoluzione della disputa legale, il duello all’ultimo sangue, è qualcosa che prescinde dalla volontà di una donna privata della scelta e che rischia una tremenda morte nel caso in cui il marito dovesse perdere lo scontro.

E sul piano squisitamente cinematografico, infarcito da un’atmosfera in costume ottima e fedele, il duello che viene lasciato nel finale regala momenti di incredibile intensità, sapendo azzeccare al millimetro la rappresentazione della donna e del suo tormento nelle ultime puntuali inquadrature. Ripetiamo ancora, non era affatto facile. Senza dubbi tra i migliori lavori di Ridley Scott nei suoi ultimi due decenni di attività. Presentato Fuori concorso alla 78esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

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