The Good Mothers, la recensione: quello che le donne non dicono

the good mothers recensione serie tv disney+

L’industria italiana dell’entertainment ha sfornato infiniti titoli sulla criminalità organizzata. Da Romanzo Criminale, passando per Gomorra e approdando sulle sponde del Tevere con la mafia capitolina di Suburrail cinema e la serialità di mafia sono sempre state carte vincenti, veicolo di fascinazione e interesse per la spettatorialità di tutti i tempi. I difficult men che dal Padrino in poi hanno ammaliato i pubblici internazionali animano un circuito produttivo ghiotto di possibilità. 

E se la prospettiva cambiasse? Se fossero le difficult women della criminalità organizzata le protagoniste della costruzione narrativa? È su queste basi che si fonda The Good Mothers, (trailer) serie disponibile su Disney +, percorrendo sentieri sperimentali e per certi versi ben riusciti. La serie diretta da Julian Jarrold ed Elisa Amoruso, vincitrice al Berlinale Series Award e tratta dal romanzo di Alex Perry, approfondisce in sei episodi la vera storia di Denise Cosco e di sua madre, Lea Garofalo: divenuta testimone di giustizia, Lea sceglie di abbandonare l’ndrangheta per salvare sua figlia da una vita indegna. 

Dopo la misteriosa scomparsa di Lea (Micaela Ramazzotti), Denise dovrà fare i conti con le angherie di un mondo brutale, in una corsa a ostacoli tra pretese di giustizia e omertà diffusa. Nel frattempo, la procuratrice Anna Colace – interpretata da Barbara Chichiarelli e già nota per il ruolo di Livia Adami in Suburra – indaga sul clan Cosco a partire dalle testimonianze delle mogli, vittime silenziose di sevizie e violenze domestiche.  

Generalmente, il funzionamento di una produzione seriale come questa discende da una dieta equilibrata di componenti, a cominciare dalla caratterizzazione folkloristica. La Calabria di The Good Mothers, ambientata durante il primo decennio degli anni Duemila, è descritta come un paesaggio avulso dai mutamenti esterni, il cui tempo sembra essersi fermato. L’elemento paesaggistico non è il solo a determinare la riuscita della macchina folkloristica: i personaggi parlano in dialetto calabrese, un linguaggio incomprensibile per i più ma funzionale alla sottolineatura approfondita del contesto e dei profili attanziali. 

The Good Mothers, seconda immagine

La seconda componente per una miscela bilanciata è la credibilità interpretativa: trattandosi di fatti realmente accaduti, la strutturazione di una buona dimensione affettiva ed empatica è un elemento di assoluta priorità. Se l’allineamento spettatoriale insorge subitamente per le vicende di Giuseppina Pesce e Maria Concetta Cacciola – grazie alle interpretazioni magistrali di Valentina Bellè e Simona Di Stefano – si avverte un che di accidentato nel personaggio di Denise, (Gaia Cirace), la Lila de L’amica geniale. La sensazione è quella di nuotare sulla superficie delle intenzioni, ma senza che vengano sufficientemente restituite alla sensibilità dello spettatore. Il personaggio non regge la sfida interpretativa e pare destinato al collasso. 

Terza e ultima componente, il posizionamento strategico della diegesi: finora non si era mai vista una serie interamente dedicata alla condizione femminile in seno alle rigide strutture della criminalità organizzata. The Good Mothers stralcia il velo del non detto e ne mostra i contenuti, senza tentativi edulcoranti. E se il film Rai di Marco Tullio Giordano – Lea, 2015 – aveva già raccontato la storia di Lea, il formato seriale e la distribuzione su piattaforma permettono di analizzarne i dettagli senza temperamenti e censure (come si penserebbe per un prodotto destinato alla fruizione generalista). 

Una storia di mafia? The Good Mothers pone l’accento sulla resilienza genitoriale del ruolo materno, pronto a tutto per la salvaguardia dei propri figli. Le questioni strettamente legate al clan Cosco non occupano una posizione centrale nella costruzione diegetica. La criminalità organizzata funge da mero pretesto per un racconto toccante, sincero e spesso celato. 

In ultima istanza, si segnala il polimorfismo femminile della serie: cinque donne con attitudini diverse, accomunate dal solo desiderio di rivalsa in un mondo dominato dagli uomini. La procuratrice, costretta a sgomitare in un ambiente professionale prevalentemente maschile, Giuseppina che ambisce a ricoprire ruoli di gestione amministrativa interni al clan ma ne subisce le conseguenze fra le mura domestiche. Maria Concetta, animata dal solo desiderio di essere amata, Denise e la sua proverbiale testardaggine, fiore sbocciato per un futuro da costruire. E infine Lea, crocevia sacrificale di ciascuna storia, il cui coraggio si spera possa ispirare nuove generazioni di buone madri e grandi donne. 

Ti potrebbero piacere anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ho letto la privacy policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali ai sensi del Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) e del D.Lgs. n. 196 del 2003 cosi come novellato dal D.Lgs. n. 101/2018.