Il canto del pavone, la recensione: il fine giustifica i mezzi?

Il canto del pavone, la recensione del film

Il protagonista de Il canto del pavone (trailer), film diretto da Sanjeewa Pushpakumara, è Amila (Akalanka Prabashwara), un diciannovenne che si ritrova a diventare adulto troppo in fretta perché deve crescere le sue sorelle e i suoi fratelli da solo, senza i genitori. Vivono a Colombo e l’uomo lavora in un cantiere per pagare le cure della piccola Inoka (Maheesha Nethara) che è in ospedale per una grave e rara malattia cardiaca. Ma i soldi da operaio non bastano per l’operazione, quindi, Amila inizia a compiere azioni illecite pur di racimolare più soldi possibili, arrivando ad immischiandosi in un racket di vendita di neonati.

Il film contrappone due tematiche importanti: le difficoltà ed il dolore di essere madri in un Paese povero, raccontati dalle urla di donne che sono costrette a vedere i loro figli essere venduti a estranei, non solo per soldi ma anche per offrir loro un futuro migliore; e la difficoltà dei figli di crescere senza genitori, che possiamo vedere con Amila e con tutti i sacrifici che compie per far vivere al meglio la sua famiglia.

Con Amila intromesso in questo mondo criminale, ci domandiamo se quello che fa è giusto: se sono soldi sporchi quelli che guadagna con il dolore delle madri, o se sia l’unica alternativa in un Paese, talmente povero, in cui gli ospedali non hanno i soldi nemmeno per pagare le cure dei pazienti. Una domanda che, ad un certo punto, si pone anche il ragazzo, dopo aver scoperto l’amore, ma che però non porta ad un cambiamento perché obbligato a continuare il suo lavoro.

Il canto del pavone, la recensione del film

La regia sinuosa di Sanjeewa Pushpakumara mette in scena la povertà del Paese tramite la contrapposizione dei grattacieli e l’umiltà delle case che abitano i personaggi (il protagonista stesso vive nello scheletro di un palazzo in costruzione). Si avverta una fortissima e triste disparità tra la ricchezza che non tocca i personaggi principali della storia, che fanno fatica a rincorrere una vita dignitosa, e la povertà dilagante.

Un film tiepido, in cui non ci sono sguizzi geniali nella sceneggiatura, che racconta una storia in maniera semplice e coincisa. L’intento è richiamare la semplicità di quel popolo che deve fare i conti con la povertà più assoluta che noi occidentali non conosciamo, obbligato a vivere in epoche ottocentesche e con una cultura che fa eco alla tratta degli schiavi.

È proprio questa povertà che ci spinge ad essere indulgenti verso le scelte estreme che compie Amila, rendendoci quasi incapaci di giudicare, dall’alto della nostra vita comoda ed agiata. Chissà, magari avremmo fatto anche noi le scelte del ragazzo pur di salvare le persone che amiamo. Il regista stesso, con il finale che propone, lascia intendere che il fine non giustifica i mezzi, ma se proviamo a calarci nei panni di Amila ci renderemmo conto che la vera colpa non è dell’individuo ma della società tutta.

Al cinema dal 19 ottobre.

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