Tenebre e Ossa 2, la recensione della seconda stagione

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Dopo quasi due anni dal debutto della prima stagione, torna su Netflix Tenebre e Ossa (Shadow and Bone, trailer), saga fantasy che fonde le storie ambientate nel Grishaverse, il mondo narrativo nato dalla penna della scrittrice statunitense Leigh Bardugo. In questa nuova stagione troviamo Alina Starkov (Jessie Mei Li), l’Evocaluce, lì dove l’avevamo lasciata nel finale del primo appuntamento: in fuga e perseguitata dai sensi di colpa dopo gli avvenimenti nella Faglia. Alina prova a ricostruire la propria vita insieme a Mal Oretsev (Archie Renaux) lontano da Revka, ignara del fatto che L’Oscuro Kirigan (Ben Barnes) sia sopravvissuto e che abbia acquisito nuove e temibili abilità. Parallelamente continua la storia dei Corvi, Kaz (Freddy Carter) e la sua banda sono tornati a Ketterdam e dovranno affrontare uno degli uomini più temuti del Barile. Da segnalare sono anche le positive new entry del cast, ovvero Patrick Gibson nel ruolo di Nikolai Lantsov e Jack Wolfe nei panni di Wylan Hendriks.

Se nella prima stagione la serie Netflix aveva sorpreso per la freschezza e la peculiare caratterizzazione dei suoi personaggi, plasmati dallo stampo sapiente di Bardugo, e intrigato gli spettatori coinvolgendoli e guidandoli alla scoperta dell’universo Grisha, nella seconda stagione qualcosa purtroppo non convince. Quello che viene a mancare è il ritmo e l’omogeneità che caratterizzavano la serie, capace in passato di gestire due linee narrative appartenenti a saghe letterarie distinte, donando allo spettatore un’esperienza di visione coerente e poco confusionaria. In questo secondo ciclo di episodi, infatti, le storyline non sono ben amalgamate tra loro e sembrano lasciare un effetto dissonante.

Alina e Mal sono costretti a veder concludere il proprio arco narrativo nel giro di otto episodi. La sceneggiatura condensa considerevolmente gli avvenimenti narrati nei due volumi conclusivi di Tenebre e Ossa, tagliando e velocizzando intrecci e passaggi fondamentali del materiale d’origine. La storia dei Corvi, d’altro canto, è ancora alle fasi iniziali. L’origin story del gruppo di outsider viaggia su binari ancora distanti dai libri che li vedono protagonisti ed è proprio per questo che la serie riesce a conservare su di loro un focus più rilassato.

In questo caso la narrazione è costruita intorno ai personaggi e non si preoccupa di incastrare forzatamente una serie di eventi, riuscendo a risultare molto più dettagliata e capace di stabilire un contatto emotivo maggiore con lo spettatore, che ha modo di conoscere ed affezionarsi ai personaggi. Anche questo, però, risulta essere controproducente ai dell’intreccio di Tenebre e Ossa e denota una certa instabilità strutturale. Dopo due intere stagioni, quella dei Corvi sembra essere un’avventura che aspetta ancora di decollare, fornendo tutti gli ingredienti necessari a renderla interessate ma rimanendo quasi in stand by, in attesa di poter esprimere le sue intere potenzialità.

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Lo spettatore ovviamente non ha il dovere di conoscere le fasi d’adattamento che vedono la serie letteraria trasformarsi in prodotto audiovisivo, né di avere familiarità con i romanzi della Bardugo. Ed è proprio questo l’errore della serie, lasciar intravedere lo scheletro ingombrante del materiale originale, che non essendo stato trattato e plasmato adeguatamente all’interno del format seriale, confonde e disorienta anche il pubblico che per la prima volta decide di immergersi nell’universo narrativo di Shadow and Bone. Il risultato è disarmonico, lascia lo spettatore in allerta, come se dovesse spettare a lui mettere in ordine i pezzi di un mosaico le cui tessere non sembrano incastrarsi fluidamente. 

Tenebre e Ossa non riesce quindi a raggiungere il prestigio di alcuni show televisivi contemporanei appartenenti al filone fantasy, non ponendosi all’interno dell’offerta audiovisiva attuale come una valida risposta di Netflix a contrastare il successo di ben più note e amate serie tv. Quello che rimane è un prodotto godibile e d’intrattenimento, senza ambizioni né volontà di costruire qualcosa di veramente rilevante, che probabilmente anche a causa di un budget poco idoneo è costretto a ridimensionare e piegare la propria storia a seconda delle necessità produttive, sfruttando al massimo il carisma dei suoi personaggi e abusando di una computer grafica nella maggior parte dei casi non propriamente eccellente. 

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