Estraneo a bordo, la recensione del nuovo film su Netflix

La recensione di Estraneo a Bordo, il nuovo film originale Netflix

A seguito dell’ermetico Arctic, la popstar brasiliana Joe Penna ritorna alla regia con l’originale Netflix Estraneo a bordo (trailer). Nonostante l’ambientazione sci-fi e i numerosi ricorsi ai tipici espedienti del genere, questo lungometraggio si costruisce come un thriller psicologico che analizza le possibili dinamiche che si concretizzano tra un pungo di uomini costretti in un ambiente circoscritto. Un dramma claustrofobico, quindi, che si iscrive in quel filone inaugurato da Apollo 13 di Ron Howard, capace di riproporre atavici dilemmi morali in chiave futuristica.

Il racconto inzia in medias res: Penna ci catapulta direttamente nella stretta cabina di pilotaggio del Kingfisher, pronto a decollare, con a bordo la comandante Marina Barnett (Toni Colette), il medico Zoe Lavenson (Anna Kendrick) e il biologo David Kim (Daniel Dae Kim). L’equipaggio, però, preparato per una missione biennale alla rotta di Marte, una volta superato il punto di non ritorno, si troverà a fare i conti con un imprevisto tutt’altro che trascurabile: un quarto passeggero. Si tratta di Michael Adams (Shamier Anderson), un ingegnere rimasto bloccato nella navicella prima del lancio. Egli si rimboccherà le maniche per non essere un peso per la missione, ma suo malgrado sarà la causa di diversi scompensi alle risorse d’ossigeno. Tutta la trama si sviluppa a seguito di questo espediente, che però non viene delucidato nel dettaglio: mai viene spiegato come sia possibile che un ingegnere possa capitare per sbaglio in una missione interspaziale da miliardi di dollari. Dal punto di vista della sceneggiatura, si tratta dunque di un buco di trama sostanziale che, nonostante dia vita a risvolti interessanti, danneggia irreversibilmente la credibilità della storia intera.

In Estraneo a bordo, numerosi sono i temi nodali tirati in ballo dal regista e dal co-sceneggiatore Ryan Morrison: dall’istinto di sopravvivenza insito nell’indole umana, alla naturale empatia, al senso di colpa, fino alla questione finale del sacrificio. La scelta di affrontare questi concetti, però, si rivela veramente forzata: molto raramente infatti, la regia di mestiere di Penna si mostra in grado di trasmettere la gamma di emozioni espressa dal ristretto cast. Se le scene di tensione invece funzionano in quasi tutti i casi, nei momenti in cui il pathos dovrebbe farla da padrone, si crea un distacco tra messinscena e spettatore, con il risultato di un prodotto a più riprese sdolcinato e pietoso.

Al contrario, l’ottima ricostruzione dell’ambiente asettico dell’astronave e un sapiente utilizzo dell’effettistica nelle ambientazioni cosmiche aiutano l’immedesimazione, mentre la buona recitazione (specialmente di Colette) rende meno evidente la scarsa espressività delle battute. Ciò però non basta a supplire ai diversi problemi strutturali. Estraneo a bordo, quindi, si colloca in quel raggio di mediocrità occupato da infinti prodotti Netflix, con presupposti certamente interessanti ma sfruttati inadeguatamente. In conclusione, Joe Penna mette troppa carne al fuoco, senza avere né l’esperienza né la capacità per non sciupare un progetto del genere, complice probabilmente un tentativo mancato di autorialità.

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