Blood Red Sky, recensione del film su Netflix

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Attualmente viviamo in un mondo pieno di pericoli e paure, ad aggravare la situazione ci si mette pure la pandemia che purtroppo stiamo ancora subendo, ed è proprio dove si incontrano queste ansie che il cinema, o le relative piattaforme digitali, intervengono riportando sullo schermo i nostri peggiori incubi per cercare di crearne un effetto catartico. Come ennesima prova di ciò, nonché sintesi del periodo storico attuale, è sbarcato su Netflix il 23 luglio Blood Red Sky (trailer), un film action horror tedesco diretto da Peter Thorwarth che ha per protagonista Peri Baumeister, seguita da Dominic Purcell, Graham McTavish, Roland Moller.

Il film vede come protagonisti una madre, Nadja (Peri Baumeister), e suo figlio, Elias (Carl Anton Koch), costretti ad intraprende un viaggio in aereo verso New York partendo dalla Germania, per incontrare un dottore che possa curare la particolare malattia del sangue che affligge la madre Nadja. Durante il volo però l’aereo viene preso ostaggio da dei terroristi, i quali hanno intenzione di far schiantare l’aereo nei pressi di Londra. Così Nadja per salvare suo figlio si vedrà costretta ad attaccare i terroristi, tirando fuori il suo lato oscuro e rivelando una natura vampiresca. Il tutto non sarà così semplice come potrebbe sembrare perché nel mezzo la vicenda prenderà diverse pieghe, portando il film ad esiti inaspettati.

L’11 Settembre da ormai vent’anni influenza la cinematografia statunitense e non solo, è un trauma mai realmente elaborato, forse a causa del continui flussi di immagini ai quali siamo stati sottoposti in tutti questi anni che probabilmente hanno creato un effetto anestetizzante su noi spettatori, per dirla alla Susan Sontag. Le paure post 11 Settembre si estendono anche oltreoceano a distanza di tempo, e infatti in Blood Red Sky, produzione tedesca, si ripropongono tutte attraverso un dirottamento aereo terroristico, ma di matrice occidentale, con l’intento di riprodurre gli attentati al World Trade Center del 2001 in versione europea.

Blood Red Sky, la recensione del film di Peter Thorwarth

Ma di film che percorrono il filone aereo-terroristico ne abbiamo visti diversi in questi anni. Qui la novità interessante è invece l’inserimento del sovrannaturale in un contesto già estremo di suo, volto ad alimentare le paranoie di un pubblico già traumatizzato. Infatti la componente vampiresca, presentata come un virus trasmissibile, va sicuramente a porsi come eco della pandemia globale che da ormai un anno e mezzo ci perseguita.

Peter Thorwarth riesce a combinare abbastanza bene la componente horror con l’azione attraverso un interessante e veloce uso della steadycam negli spazi più bui e claustrofobici dell’aereo, mantenendo elevata l’attenzione, ma soprattutto la tensione. L’uso del flashback, parallelo alla storia principale, è molto coinvolgente e utile per risolvere i dubbi sul background della protagonista oltre che permettere ad empatizzare di più con essa. Interessante nel film è anche il gioco sullo stereotipo islamico come fautore dell’attentato: infatti i terroristi europei usano un povero ostaggio asiatico come capro espiatorio da incolpare per il dirottamento, e come possiamo immaginare sarà difficile per lui dimostrare di essere solo una vittima.

Ma è il sangue la componente essenziale del film, come afferma già il titolo, ed è presente in abbondanza rispecchiando coerentemente il vampyr-movie, e di conseguenza accontentando i fan del genere i quali, quasi certamente, coglieranno la somiglianza estetica del vampiro con le creature presenti in 30 giorni di buio.

Nel complesso Blood Red Sky è un film riuscito. Pur non essendo un prodotto ad alto budget si pone come una visione innovativa in contesti già collaudati, inoltre, senza mai annoiare nonostante le due ore di pellicola, riesce a regalare agli amanti del cinema di genere le giuste quantità di paura, sangue e tensione attraverso uno scontro per la sopravvivenza senza esclusione di morsi.

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