Saw X, la recensione: tra dramma e puro terrore

Saw X, la recensione

John Kramer, meglio conosciuto come Jigsaw, è l’antagonista principale della saga di Saw, iniziata nel 2004. Si tratta di un assassino estremamente intelligente che non uccide personalmente le sue vittime, bensì le intrappola dando loro un’opportunità di salvezza. La sua storia viene introdotta attraverso la discussione dei personaggi nel primo Saw, in un finale che ancora oggi è considerato tra i più sorprendenti nella storia del cinema horror (e in assoluto il punto più alto della serie). La storia passata del protagonista non viene palesata completamente fino a Saw II e Saw IV, quando scopriamo che Kramer è un ex ingegnere con un tumore al lobo frontale inoperabile. A seguito di un fallito tentativo di suicidio, la sua morte imminente gli concede una rinnovata prospettiva sulla vita, la stessa che gli ha fatto considerare di essere degno di poter disporre dell’esistenza di altre persone: egli decide che chi non ha la forza di resistere al dolore e alla sofferenza estrema non merita di vivere, e così inizia a catturare persone che, secondo lui, possiedono un difetto morale o personale e, sfruttando proprio quel particolare difetto, crea delle trappole di tortura personalizzate, costringendo la vittima a venire a patti con il proprio problema o condannandola a morte.

Jigsaw chiama queste situazioni “giochi”, poiché ogni trappola offre un mezzo per la sopravvivenza. Coloro che muoiono, secondo lui, non meritano alternativa. I giochi implicano regolarmente l’automutilazione, il danneggiamento degli altri o la tortura psicologica – possiamo, a pieno titolo, parlare del primo torture porn della Storia – e Jigsaw pensa così di poter trasformare gli esseri umani pigri in persone con un rinnovato apprezzamento dell’esistenza. L’uomo quindi non è il classico villain, perché si tratta di una persona in carne e ossa che crede di fare la differenza attraverso l’arma del male. Nonostante questa componente renda intrigante la caratterizzazione di Jigsaw, se non avesse usato il suo presunto rispetto per la vita sottoponendo delle persone alle torture più atroci, sarebbe potuto diventare un uomo decisamente più sano e saggio. Le sue intenzioni sono nobili nella sua testa, ma il metodo di darwinismo morale che attua è così assurdamente barbaro che non si può fare a meno di essere incuriositi/e e allo stesso tempo respinti/e da un personaggio del genere.

Saw X (trailer) si colloca temporalmente tra il primo e il secondo film della saga. Per quasi metà film assistiamo al dramma di Kramer che affronta la sua diagnosi di malato oncologico terminale – gli restano soli pochi mesi di vita. Quando l’uomo viene a sapere di un nuovo trattamento radicale trova una fonte di speranza e vola a Città del Messico (il film utilizza un filtro seppia per segnalare il passaggio di territorio) incoraggiato dalla promessa di una cura. Ma una volta terminata la procedura, Kramer scopre che si è trattato di una crudele truffa ai suoi danni e decide di dare ai truffatori una lezione indimenticabile. È senza dubbio un modo interessante per tornare nella serie e mentre gli ultimi sequel erano diventati più vaghi e meschini sul motivo per cui i soggetti venivano testati: qui c’è un piano più chiaro, e – per via della ripugnanza della truffa – un motore d’azione decisamente più forte.

Saw X, la recensione del film

La relativa mancanza di orrore nella prima metà (esclusa una sequenza onirica in cui vediamo dita che si spezzano e occhi che vengono risucchiati da improbabili macchinari) è decisamente più magnetica della seconda, che riprende i vecchi e consolidati meccanismi con maggiore pietismo: una volta che la trappola è stata tesa, c’è ben poca carne, in mezzo a tutto quel sangue, da mettere al fuoco. Ambientato a metà degli anni 2000, e girato e montato da Kevi Greutert con la stessa estetica da video musicale datato e sporco, Saw X è una reliquia che spera di trarre profitto dalla nostalgia per i primi Saw, sperando anche di attrarre nuovi/e adepti/e.

Il film, però, non ha solo una seconda parte claudicante, ma anche una recitazione debole e una svolta finale che richiede una sospensione dell’incredulità talmente estrema tale da renderla più difficile da digerire di tutte le trappole viste fino a quel momento. Tuttavia, lo scopo di Jigsaw nella seconda parte si distanzia da quello dell’intera saga: non si parla più di una prova estrema per sancire una superiorità morale, bensì di pura e semplice vendetta verso persone crudeli che gli hanno fatto del male. Gli sceneggiatori Peter Goldfinger e Josh Stolberg si impegnano più nella costruzione dell’arco del tradimento di John, rafforzando la posta in gioco in modi che i precedenti film iper-nichilisti di Saw non si sono mai presi la briga di fare. Questo Saw almeno evita le poco curate provocazioni politiche di Spiral, lo spin-off del 2021, che collegava il mandato morale dell’assassino di Jigsaw al movimento Black Lives Matter. In ogni caso, il più grande cattivo della saga si trova proprio qui, ed è una scandinava dal sangue freddo: la dottoressa Cecilia Pederson (Synnove Macody Lund).

Nonostante non sia un gran film, Saw X si presenta come il sequel più curato fino ad oggi. Il tratto più interessante di un’opera per molti altri versi poco riuscita pertiene ancora una volta ai valori di Jigsaw, che non sono così confusi come potrebbero sembrare a prima vista. Nonostante proclami esplicitamente che il suo obiettivo è quello di salvare gli altri, le sue azioni rivelano un’altra storia (e non solo perché il suo schema è omicida). In seguito alla perdita del figlio non ancora nato, al fallito tentativo di suicidio e a una falsa speranza, Jigsaw cerca simbolicamente di sradicare se stesso: le vittime che seleziona riflettono e reificano i tratti ossessivi della sua personalità. Il suo nichilismo può manifestarsi come sofferenza forzata, ma il bersaglio simbolico della serie è, e resta, lo stesso Jigsaw.

Articolo di Ilaria Franciotti.

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