#RomaFF18: The End We Start From, la recensione del film di Mahalia Belo

The end we start from, la recensione del film di Mahalia Belo

La seconda giornata della Festa del cinema di Roma inizia con uno dei film più attesi del festival. The End We Start From (trailer) è un biglietto da visita di un tempo non specificato, ma che sarebbe scorretto collocare in un futuro indefinito, perché narra di un imminente presente. Definirlo un film distopico sarebbe fuorviante: il dramma di cui parla trova tutte le sue premesse nei giorni nostri e il suo impatto distruttivo si misura già oggi.

Il film è tratto dall’omonimo romanzo dell’esordiente Megan Hunter e narra della storia di una donna (Jodie Comer, che abbiamo visto, fra gli altri film, in The Last Duel ) incinta che dà alla luce il proprio figlio nel pieno di un’emergenza meteorologica. Siamo a Londra: come tutta la Gran Bretagna, dopo 3 mesi di siccità, la città sta incassando in poche ore tutta l’acqua tanto attesa. Viveri, personale sanitario e servizi di prima necessità sono via via più scarsi e gli episodi di guerriglia per aggiudicarsi le ultime scorte sono sempre più frequenti. La nascita del piccolo Zeb avviene proprio prima che gli ultimi equilibri sociali rimasti crollino: da qui ha inizio il viaggio della protagonista, insieme al marito (Joel Fry) e ad un’altra madre (Katherine Waterston) incontrata sul percorso.

Il film trova il suo maggior vigore nell’offrire una visione coraggiosamente realistica. Solo avendo il coraggio di dire la verità infatti si può realizzare una narrazione fedele e scomoda come quella della crisi climatica. La regia di Mahalia Belo si avvale di un’imponente nudità e trasparenza, richiamata non soltanto dallo stile narrativo, ma anche da rime visive che confluiscono in un vero e proprio atto di sincerità e amore verso il pubblico. Quest’ultimo non può che lasciarsi calare nella trama: l’incondizionata e primordiale apprensione per una madre in difficoltà, infatti, vince la difficoltà legate alla crudezza del racconto. Lo spettatore non ha scelta, egli è sì vittima di una costrizione (tanto forte quanto si pensa alla potenziale attualità degli eventi, basti pensare all’Emilia Romagna), ma la sua angoscia è la stessa che guida l’intrepida protagonista fuori dal tunnel: lo sforzo è ripagato e la catarsi, nei suoi limiti, premia lo spettatore per l’affanno. L’affetto speso per accompagnare i personaggi viene restituito al pubblico sotto forma di autentica coscienza. Una coscienza che nasce quasi inavvertitamente, nutrita dall’affetto per i personaggi e dall’irriducibile tensione per la vita, che il film ci dice essere inestinguibile anche di fronte a tali calamità.

“Autenticità” potrebbe essere la parola chiave del film, ma un’altra ancora più efficace è “giustizia”, intesa come espressione di verosimiglianza e lealtà di rappresentare lo scenario che attende l’umanità. Probabilmente, The End We Start From è uno dei primi film in assoluto che sceglie di trattare la questione climatica con una verità tale da rinunciare a qualsiasi forma di sublimazione. Non sono poche le volte in cui si assiste a narrazioni che ricorrono a comicità, distacco o parodia per non rendere traumatica la fruizione del tema: si pensi a Siccità o Don’t Look Up. The End We Start From, al contrario, si focalizza su una profonda analisi emotiva, guarda in faccia la realtà con una forza ammirevole, senza paura di addentrarsi nelle inquietanti conseguenze che ne derivano. Per questo motivo, il film richiede un grande sforzo, come testimoniano gli onnipresenti sospiri e i tamburellanti tic in sala. La visione del film è incoraggiata, oltre all’eccezionale recitazione del cast, da una narrazione scorrevole, ricca di un intenso sottotesto e da una serie di temi fondamentali, oltre a quello centrale, che attendono l’umanità per essere finalmente presi con la giusta considerazione.

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