#RomaFF18: Death is a Problem for the Living, la recensione del film di Teemu Nikki

Dopo aver vinto la sezione Orizzonti Extra della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 2021 con Il cieco che non voleva vedere Titanic, Teemu Nikki arriva alla Festa del Cinema di Roma 2023 con Death is a Problem for the Living, in concorso nella sezione Progressive. Il regista finlandese ci propone una commedia dark dal gusto squisitamente scandinavo, grazie al tipico senso del cinismo e del grottesco che caratterizza questa sensibilità cinematografica. Con il suo affresco di un’umanità multipolare e in crisi sembra quasi fondere una puntata di Black Mirror con certe atmosfere dei film di Martin McDonagh: Death is a Problem for the Living, infatti, mette in scena le vicende di due autisti di carri funebri che recuperano i cadaveri di persone decedute in strane circostanze.

Risto (Pekka Strang) è un uomo apparentemente tutto d’un pezzo, elegante e sicuro di sé, che, però, nasconde un grave problema di ludopatia che ha irreversibilmente rovinato la sua vita e disgregato il rapporto con la sua famiglia. Arto (Jari Virman), suo vicino di casa, scopre dopo una radiografia di “non avere il cervello” (o meglio, di possederne ancora solo una ridottissima porzione), tanto da venire schernito e allontanato dal posto di lavoro e dalla moglie. Entrambi sono uomini afflitti da profonde mancanze (ad uno manca metaforicamente il cuore, all’altro il cervello), esiliati dal resto della comunità e in cerca di un posto nel mondo. Arto, il più ingenuo e genuino dei due, si lascia coinvolgere nei continui imbrogli di Risto, che sembra scommettere continuamente sulla sua vita per sopperire ai debiti che lo sommergono: deficit affettivi, economici, d’amore. La sua dipendenza dal gioco d’azzardo, che lo porta a perdere i soldi che guadagna e a tradire ripetutamente i patti con l’amico, insinua in lui la necessità di scommettere sempre di più, fino alla propria stessa vita. Una distopica roulette russa trasmessa in diretta streaming, che lo vede coinvolto prima indirettamente e poi in prima persona, infatti, segnerà il culmine della sua ludopatia e del suo rapporto con lo stravagante vicino di casa.  

L’umorismo nero del film cosparge delle pungenti riflessioni sulle reali necessità della vita e sul bisogno di alzare costantemente la posta in gioco per essere riconosciuti ed accettati dalla società, per ripianare le nostre mancanze verso il mondo. Il grottesco mestiere dei due protagonisti, quello di “mettere un ordine” alla morte per soldi, è, infatti, una sorta di contrappunto alla loro condizione esistenziale, frammentata ed in lenta decomposizione: dietro all’abito composto ed elegante, Risto nasconde una disperazione umiliante che fa esplodere nella solitudine della sua stanza, sfogandosi sulla sua chiassosa batteria (tanto quanto il jazz che dice di amare). Arto, meno approfondito rispetto al compagno, deve invece sopperire alla mancanza di cervello con un grande spirito di amicizia, dimostrando grande intelligenza nonostante i suoi modi spesso bizzarri.  

Un’improbabile coppia da buddy movie che si incastra perfettamente, fa sorridere ma ci mette un po’ ad ingranare, in generale come tutto il film. Nikki, attraverso una stralunata commedia dell’assurdo, dimostra che «la morte è un problema dei vivi», e che i vivi devono imparare a farci i conti per colmare i debiti con la propria vitay

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