#RomaFF18: Blaga’s Lessons, la recensione del film di Stephan Komandarev

Blaga’s Lessons (trailer) è un film spiazzante. Non nel senso che la narrazione prende strade totalmente imprevedibili (in realtà è anche piuttosto lineare), ma perché non riusciamo mai ad abituarci alla sua crudeltà, al suo freddo e impassibile pessimismo, che ci penetra per due ore e non ci risparmia neanche all’uscita dalla sala. Una sensazione di disagio e di malessere si insinua nello spettatore. Più che vedere il film, lo sente palpabilmente: sente le minacce, la paura, la vergogna, la disperazione. Stephan Komandarev commenta cinicamente la vertiginosa caduta di una donna sola e senza speranza, attraverso una macchina a mano mossa e instabile: la precarietà della regia si incastra in maniera perfettamente complementare al disagio creato dalla sceneggiatura, dando vita ad un risultato estremamente tensivo ed angosciante.  

Blaga (Eli Skorcheva), insegnante privata di bulgaro di 70 anni, ha appena perso il marito e discute con l’impiegato dell’agenzia funebre a proposito della lapide da erigere in suo onore. È costosa, sì, ma alla vedova non interessa: è disposta a pagare anche grosse cifre per una sepoltura dignitosa. L’unica, bizzarra, richiesta (uno dei pochi e sobri tocchi di humour nero della pellicola, estremamente tetra) è che affianco al suo nome non venga messa una croce, ma un simbolo comunista. D’altronde «credeva più a Lenin che a Gesù», dice la donna.  

Nello scenario di una Bulgaria brutalista e post-sovietica, assistiamo al progressivo declino morale di Blaga, che subisce una truffa telefonica e perde tutti i soldi che aveva conservato per pagare la tomba del defunto marito. La protagonista non riesce a risollevarsi e a riottenere la fortuna ingenuamente persa, ma viene continuamente rimproverata dal figlio lontano, andato a cercare (invano) fortuna in America, e dalla stampa, che si fa beffe della sua condizione esponendola alla gogna pubblica. Il sistema corrotto in cui vive non è in grado né di punire chi l’ha truffata né di reinserirla nella società, da cui è stata violentemente estromessa per l’assenza di denaro e per il trattamento che le ha riservato l’invadenza dei giornali. Le banche non vogliono farle prestiti, la scuola non vuole assumerla per insegnare e la polizia è inadatta a operare. Le lezioni private, che tiene a una giovane ragazza con il sogno di ottenere il passaporto e un futuro più prospero in Bulgaria, sono l’unica entrata che riesce ad avere, ma non sono abbastanza. L’unica possibilità che ha per guadagnare qualcosa di più rilevante e poter sostenere l’ingente spesa funebre, paradossalmente, è rivolgersi proprio a quelle organizzazioni criminali che le avevano tolto tutto; inizia così a lavorare per i truffatori telefonici, vedendo il suo “stipendio” aumentare significativamente.  

Ingabbiata da un soffocante rapporto d’aspetto quasi quadrato, come le strette e opprimenti pareti della sua abitazione, Blaga è la vittima di un (mancato) processo storico, che avrebbe dovuto far transitare il suo paese in un fiorente avvenire dopo l’oppressione comunista. Komandarev inquadra ancora una volta il degrado sociale della Bulgaria post 1989, nazione che porta i traumi del passato sovietico ma che non ha saputo adattarsi ai cambiamenti del nuovo millennio. Nella Shumen di Blaga lo “skyline” è dei più depressivi possibili, con una fotografia che riprende, con toni spenti, abitazioni grigie e quasi distopiche, che vanno a comporre un enorme cimitero a cielo aperto; pure il sonoro, inverosimilmente assordante, “minaccia” lo spettatore e lo pone in uno stato di massima allerta. Nessuno è al sicuro: la città è un desolante far west senza regole, e il denaro è l’unica risorsa etica. La cultura, quella che si ostina a difendere la protagonista con le sue puntuali e rigorose correzioni grammaticali, è un vecchio ricordo impolverato che non può risollevare dalla miseria una società deviata.  

Il regista evita qualsiasi spiraglio di luce e di ottimismo, stringendo lo stomaco dello spettatore nell’angoscioso percorso di Blaga: il finale, grazie a un gelido e lungo piano sequenza, è di un’apatica brutalità che non può lasciare indifferenti, e tronca qualsiasi segno di speranza che avevamo potuto intravedere durante il film.  

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One thought on “#RomaFF18: Blaga’s Lessons, la recensione del film di Stephan Komandarev

  1. Bellissima recensione, ricca di nozioni scenografiche e psicologiche che rendono, perfettamente, l’idea di quello che lo spettatore deve aspettarsi da questo film. Sicuramente andrò a vederlo!

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