Rebel Moon – Figlia del fuoco, la recensione: la prima parte di un kolossal già visto

Rebel Moon, la recensione della prima parte del nuovo kolossal diretto da Zack Snyder

Quella di Zack Snyder è sicuramente una delle figure più controverse del cinema d’intrattenimento americano contemporaneo. Famoso per la sua megalomania fin dai tempi di Watchmen e 300, il regista ha iniziato a dar vita ai dibattiti più accesi nel momento in cui ha cominciato a lavorare con gli eroi della DC, dando vita ad una gestione sempre più travagliata di un universo sfortunato che ora, proprio a causa di quella sua impronta simil autoriale, non riesce più ad essere percepito come positivo. Quest’universo sembra, anzi, essere macchiato per sempre da quell’aura cupa che se inizialmente poteva essere interessante se contrapposta alla Marvel, ora inizia ad apparire superata.

Eppure, dopo aver fatto tanto discutere di sé, dopo esser stato protagonista di scandali dentro e fuori il cinema, Snyder sembra aver trovato la sua casa definitiva in Netflix. Dopo Army of the Dead, infatti, è il turno di Rebel Moon – Figlia del fuoco (trailer), prima di due parti di un kolossal fantasy sci-fi. La trama in realtà è piuttosto semplice, se non basilare, seppur il regista tenti di infonderla di una falsa complessità non necessaria. Ci troviamo in una galassia dominata da una civiltà imperialista, sorretta da un fu monarca oramai assassinato ma che continua a sorreggersi autonomamente (un po’ come i separatisti di Kylo Ren per intenderci). In particolare, si parla di un Pianeta Madre (la Morte Nera) e di una grande rete di ribelli. Al centro della storia abbiamo il personaggio di Kora (Sofia Boutella), figura dal passato tormentato che ha cercato una vita pacifica su un pianeta altrettanto pacifico, finché non è stato costretta a riabbracciare le armi proprio contro quell’impero con il quale ha avuto già dei rapporti misteriosi che saranno rivelati nel corso del film. In particolar modo, il perfido generale Atticus Noble (Ed Skrein) farà le veci di principale antagonista del film. Accanto a lei, svariati personaggi pittoreschi che andranno a comporre una sorta di moderna suicide squad fantascientifica, fra cui spiccano i personaggi di Kai (Charlie Hunnam) e Gunnar (Michiel Huisman).

Se c’è una cosa che Zack Snyder ha sempre saputo fare più o meno bene, è mescolare elementi diversi tra loro per proporre una commistione di generi. Ecco, quindi, che ci viene presentato un futuro fantascientifico distopico ma che, almeno nel suo primo atto, sposa un’ambientazione quasi vichinga, agendo per opposti e raccontandoci una storia sì già vista ma, per lo meno inizialmente, interessante. Le sorprese, purtroppo, finiscono qui. Perché più si procede e più il film va a sedimentarsi nei binari più tipici del genere, aggregandosi con tanti altri suoi colleghi come l’ennesimo sci-fi poco ispirato. L’impressione che si ha nel seguire questa vicenda è quella di star guardando un Battlestar Galactica o, come accennato, uno Star Wars con meno personalità, ed è normale che sia così considerando l’origine del progetto. Rebel Moon, infatti, nasce in principio proprio come nuovo capitolo della saga della Lucasfilm, ispirato ai film di Akira Kurosawa, salvo poi cambiare direzione in corso d’opera divenendo un progetto a sé stante. Le influenze starwarsiane, però, sono ben evidenti visivamente. Sta forse qui il problema principale della pellicola: l’assenza di una vera e propria identità che possa accattivarsi la simpatia del pubblico e costruirsi un proprio fandom specifico. Il già visto, le citazioni, gli scenari “presi in prestito” non aiutano a fidelizzare un pubblico proveniente da altri brand più riusciti, anzi lo respingono.

Mettendo per un attimo da parte la scarsa ispirazione di questo nascente ecosistema, Rebel Moon di per sé non è poi un brutto film, ma è un tragico quadro di tutte le problematiche che già conosciamo legate alla gestione cinematografica di Zack Snyder. Una durata eccessiva, lungaggini e flashback poco necessari, slow motion (che presi a parte non sarebbero un problema ma non sono mai stati così tanti), ma soprattutto i protagonisti. Sembra quasi assurdo da dire, ma nonostante questa prima parte esista solo ed esclusivamente per introdurre i protagonisti della storia, con un’ora (forse perfino di più) dedicata al reclutamento dei membri della squadra, nessuno dei personaggi introdotti riesce a spiccare. Non ce la fa la protagonista, né il coprotagonista o qualsiasi dei comprimari. Essi sono delle sagome, posizionate all’interno della narrazione, ciascuna con un proprio ruolo più o meno definito, ma nessuna riesce a distinguersi. Eppure Snyder ci prova nell’ultima mezz’ora, a farci emozionare, a provare qualcosa per queste figure, ma ciò arriva troppo tardi.

È un pattern che a questo punto diventa regolare. Lo abbiamo visto in Army of the dead ( film, tra l’altro, ambientato in questo universo, non ci è ancora dato sapere quali implicazioni avrà questa scelta), così come in Justice League e ancora a ritroso. Zack Snyder investe molto del suo tempo, troppo, nell’introdurre e arruolare i protagonisti delle sue storie che, però, paradossalmente non vengono mai davvero caratterizzati nonostante la tipica lunga durata. Perché Rebel Moon non era un racconto che necessitava di essere diviso in due parti, ma è probabile, se non certo, che l’intera operazione del kolossal in due parti (figlia di tempi andati) sia riconducibile proprio a quella megalomania cui si accennava poc’anzi. Attendiamo quindi questa seconda parte che ci promette, forse, un po’ più di sostanza dopo due ore e un quarto di quello che a conti fatti è poco più di un estenuante prologo.

Dal 20 dicembre su Netflix.

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