
È la suggestiva chiesa sconsacrata della Maddalena ad ospitare, per la prima volta, proiezioni cinematografiche e altri numerosi eventi durante questa 61esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro: dagli incontri mattutini con cineasti e studiosi a rassegne. È in questo contesto che si colloca anche “Corti in mostra”, un pomeriggio dedicato a vari cortometraggi d’animazione, diviso in due sezioni: “Animatori italiani oggi” e “Focus su Simone Massi” (di cui potete trovare un approfondimento qui). L’iniziativa si propone di presentare artisti emergenti nel campo del cortometraggio animato, anche per incoraggiare i giovanissimi ad approcciare l’animazione come mezzo di espressione sperimentale. La selezione include 20 corti tra opere di artisti ormai affermati e autori-allievi provenienti da scuole e accademie di belle arti. Cortometraggi brevissimi, realizzati con tecniche di animazione differenti che rendono chiaro come persino il breve spazio di un paio di minuti può diventare un contenitore di sperimentazione e profonda scoperta, libero da ogni condizionamento produttivo.
In continuità con quello che è l’occhio attento alla storia e alla memoria che ha contraddistinto il festival nella sua interezza, anche diversi corti prestano uno sguardo attento al passato, in particolare alla storia familiare: ponendo la giusta enfasi su come il vissuto della nostra famiglia influenzi chi siamo. È il caso, ad esempio, di Volare con le zanzare di Stefanie Mair, e di Rosaria’s marriage di Adine Oana Enache e Oscar Renni. Il primo è una piccola lettera d’amore dall’animazione minimalista che ricrea digitalmente il tratto delle matite colorate, un disegno semplice e dolce che replica la tenerezza di un primo incontro. Dedicato ai genitori, l’ispirazione viene alla cineasta da un proverbio che le ripetevano: “a quei tempi volavi ancora con le zanzare”, una piccola memoria privata condivisa nella maniera più genuina possibile. Il secondo corto prende anch’esso spunto da aneddoti familiari, una vera e propria intervista fatta alla nonna e trasposta in immagini, dallo stile personalissimo e ironico. Un matrimonio che non ama ricordare, eclissato dalle memorie più felici dei giorni al mare con se stessa; la sua storia raccontata ai suoi termini.

Non mancano, poi, riflessioni e rappresentazioni allegoriche sul mondo il cui viviamo, un mondo contradditorio, ipocrita e crudele, in cui molto spesso un’esperienza positiva di amore o libertà si sgretola bruscamente, rivelando la sua natura illusoria, come in Oltre la cupola di Ale Dispensa, oppure talmente inaspettata e sovversiva da non potersi permettere di viverla, come nel caso di An Explosive Love Story. Oltre la cupola ritrae una bolla illusoria di sicurezza, libertà e inclusività, in cui si vive ignari di essere manipolati, una riflessione, in animazione 3D, sul rainbow washing e sullo sfruttamento della causa e dell’estetica LGBTQ+ come mezzo di marketing: brand che si ergono a paladini dell’inclusività, abusando di bandiere arcobaleno per poi abbandonare la comunità nelle sue vere sfide. Una denuncia di come la lotta all’omotransfobia sia diventata ormai un vessillo dietro al quale si nascondono stretegie di marketing senza scrupoli. Sullo stesso tono interrogativo si erge An Explosive love story di Adina Oana Enache, una critica al sistema culturale moderno, limitante e omologato, alla sistematizzazione della violenza e l’interiorizzazione della mascolinità tossica. In un campo sterminato due cacciatori si appostano con i loro fucili, sono lo specchio l’uno dell’altro, spaventati e condizionati, certi di dover essere nemici e pronti a fare fuoco. Al primo sguardo però, i due si innamorano, un’amore travolgente che apre un nuovo orizzonte, un amore scioccante e fugace che li innalza verso il cielo e cancella brevemente ogni guerra, ma che, al tempo stesso, li terrorizza. Basta un momento, i due tornano bruscamente alla realtà e con i fucili sono di nuovo nelle loro mani, premono il grilletto. Pochi e solidi colori e un tono ironico e a tratti psichedelico lo rendono una piccola ma significativa rappresentazione.

Collocato al di fuori di una qualsiasi riflessione su passato o presente, è tra le opere più intriganti Centomilioni di Lorenzo Mauro, che tenta invece di immaginare il futuro. Cento milioni di anni da oggi, degli esseri umani non c’è più traccia, e la natura, come di diritto, ha ripreso il controllo, e nuove specie di predatori governano il tutto. Un’opera brevissima, movimentata e effervescente realizzata con animazione frame-by-frame in digitale, che richiama, nella sterminata landa desolata, il deserto del pionieristico West and Soda di Bruno Bozzetto, ma amplificato al massimo nella brillantezza dei colori.
La seconda metà della rassegna è stata invece dedicata a tre filmmaker, ormai affermati nel mondo dell’animazione e pluripremiati nel circuito dei festival, Roberto Catani, Michele Bernardi e (in particolare) Donato Sansone, di cui sono stati proiettati ben sei titoli. Quello che appare forse come il lavoro più sconvolgente e di cui vale la pena fare menzione è Dark Globe, che riprende lo stile personalissimo di un collage di tecniche e che traspone in immagini rapidissime un compendio dei più pressanti temi all’ordine del giorno come le guerre, il cambiamento climatico e la direzione preoccupante in cui si sta muovendo il mondo.
La chiesa della Maddalena, costellata di alte finestre, rimane piena di luce durante le proiezioni, e dai numerosi e fugaci mondi creati dai cortometraggi, basta alzare lo sguardo per rimanerne ammaliati. L’incontro tra l’arte filmica, già di per se moderna (modernità che si rafforza), e un luogo fisico fatto esso stesso di arte, dona una lente tutta nuova alla visione. Grazie al festival anche queste nuove espressioni sperimentali di artisti emergenti hanno avuto modo di essere viste. In un panorama artistico e cinematografico che pare spesso desolante per i giovani aspiranti cineasti, il festival del Nuovo Cinema di Pesaro, tenendo fede al suo nome, ha permesso al pubblico di imparare a conoscerli e apprezzarli, e a i giovani artisti di credere, almeno qui, in un futuro nel cinema, e che l’arte possa davvero farcela.