Operation Fortune, la recensione del film di Guy Ritchie su Sky

Operation Fortune recensione film Guy Ritchie DassCinemag

Una moderna spia, che richiama neanche tanto velatamente James Bond, è incaricata di recuperare un misterioso dispositivo per conto del governo inglese prima che il magnate Greg Simmonds (Hugh Grant) possa rivenderlo a dei criminali. Operation Fortune (trailer), ultima opera scritta e diretta dal regista britannico Guy Ritchie, si rivela un action movie sulla falsariga del suo Operazione U.N.C.L.E., ma che purtroppo manca della stessa godibilità e dell’inconfondibile firma dell’autore, che di solito vanta un personalissimo stile di regia (per citarne alcuni, sono suoi gli Sherlock Holmes con Robert Downey Jr., Lock & Stock – Pazzi scatenati, Snatch – Lo strappo e il più recente The Gentlemen).

Orson Fortune (Jason Statham) è qui il protagonista forte, di carattere, impeccabile. Ride in faccia al pericolo e anche ai suoi capi all’MI6. Anzi, fin dall’inizio dimostra di essere il suo stesso boss e non a caso anche l’amico e collega J.J. (Bugzy Malone) si rivolge a lui chiamandolo così. Ogni missione che viene affidata ai due, affiancati dall’abilissima hacker Sarah Fidel (Aubrey Plaza), è un successo assicurato. Ed è proprio la certezza che tutto si risolve sempre in maniera positiva che causa una mancanza di suspense e colpi di scena. Tutto ciò penalizza gravemente il film, che risulta prevedibile e a tratti addirittura noioso. Operation Fortune, di fatto, non si può reggere per quasi due ore unicamente sulle spalle della magnetica spia che non sbaglia un colpo – e non si prende neanche un pugno.

Con l’andare del film i protagonisti entrano nelle grazie di Greg Simmonds servendosi di Danny Francesco (Josh Hartnett), divo per cui il magnate nutre grande ammirazione. L’obiettivo di recuperare “la Maniglia” – questo il nome in codice del prezioso strumento – viene però continuamente ostacolato da un altro gruppo di spie, più anarchico e spietato, e capitanato da Mike, ex dipendente della corona britannica. Adattandosi ai nuovi orizzonti della digitalizzazione, in Operation Fortune le battaglie si combattono principalmente hackerando i sistemi di sicurezza e le telecamere di sorveglianza piuttosto che corpo a corpo. La tecnologia gioca pertanto un ruolo fondamentale, a partire dall’oggetto del desiderio conteso fra i buoni (Fortune e compagnia), i cattivi (Mike e scagnozzi) e i ricchi (Simmonds), che altro non è che un’Intelligenza Artificiale capace di disattivare qualsiasi sistema di sicurezza nel mondo. La dicotomia tra lotta con armi e pugni e quella con computer e software viaggia però su due binari separati, tra chi preferisce gettarsi nella mischia e chi lavora al PC comodamente seduto in poltrona. I due piani non si incontrano mai, aggiungendo ulteriore dispersività al film, a più riprese confusionario e privo di coesione.

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Questa storia, quindi, come tante altre ha al centro un rischio per la sicurezza mondiale e per la società moderna, la cui salvezza è nelle mani dei soliti pochi eletti.
Tuttavia, non si percepisce mai realmente il pericolo posto dallo strumento conteso dalle diverse fazioni, poiché da principio l’infallibilità di Fortune rende scontato il finale. Inoltre, la rapidità e la frammentarietà con cui si intrecciano le sequenze creano confusione, presentando troppi personaggi e sottotrame e dispiegando la matassa frettolosamente, senza lasciare spazio all’attesa che è elemento cardine delle storie di spionaggio – e in generale di ogni buon film che vuole tenere lo spettatore incollato allo schermo.

Purtroppo, i motivi per cui Operation Fortune non lascia il segno sono molteplici: troppi personaggi, alcuni mal caratterizzati e sviluppati in maniera superficiale; la presenza di flashbacks (tratto distintivo del regista), che risultano inutili e fini a se stessi e non generano sorpresa né tantomeno chiariscono dinamiche già ovvie; infine, una generale mancanza di ritmo sia nelle scene d’azione sia nei dialoghi. Tutti questi elementi rendono l’ultima opera del regista britannico piatta, caotica e senza un’identità definita. L’assenza della firma di Guy Ritchie, di solito immediatamente riconoscibile, in questo film è il difetto più visibile, che pregiudica l’intero risultato.

Disponibile su Sky dal 17 aprile.

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