Nightmare Before Christmas, 30 anni di Jack Skellington

30 anni di Nightmare Before Christmas. Cosa può insegnarci il personaggio di Jack Skellington il Re delle Zucche?

Esiste nella mente di tutti l’immagine di Jack Skellington (Chris Sarandon nei dialoghi, Danny Elfman nelle canzoni) che canta al chiaro di luna, sulla collina nel cimitero. Nightmare Before Christmas (trailer), presentato in anteprima al New York Film Festival il 9 Ottobre 1993, è senza ombra di dubbio un film cult. Piacevolissimo a rivederlo oggi e capace di trasmettere ancora grande passione.

La storia narrata in Nightmare Before Christmas non è solo una sorta di parodia ad un film di Natale e nemmeno pura animazione gotica. I temi estrapolabili dopo un attenta analisi del film sono infiniti. Henry Selick, il regista e Tim Burton, insieme a Michael McDowell alla scrittura, sono riusciti in poco più di un’ora di girato a costruire un universo narrativo vivo ed intenso. Al limite della tecnica teatrale, lo stop-motion dona ai personaggi, e soprattutto al personaggio centrale, una plasticità impossibile da ottenere con l’animazione tradizionale. Lo schermo diventa un palcoscenico per Jack Skellington che coinvolge, fa ridere, riflettere e terrorizza. Con un design semplice, ma con una mimica facciale accuratissima, il personaggio di Jack esprime un complesso spettro di emotività. In aggiunta ad una fisicità del corpo estremizzata, a volte ricordando animali come i ragni e altre donando un aspetto aristocratico al Re delle Zucche.

Ispirato da una poesia di Tim Burton, Nightmare Before Christmas nasce come un progetto quasi pericoloso per la Disney; troppo gotico, al limite del raccapricciante per un bambino. Inquietante, eppure ricchissimo di spunti. Capace di parlare al pubblico più disparato, senza mai risultare prolisso nella sua poetica ombrosa e teatrale. Il personaggio principale, Jack Skellington, incarna una perfetta maschera shakespeariana: la voce regale ma rauca, movenze al limite del buffo che proiettano un’ inquietante ombra ed una tragico alone che accompagna lo spettatore per tutto il girato. Tormentato dalla monotonia, afflitto dalla noia di un esistenza quasi vana, dove per brillare non vi è bisogno di fatica. Dove tutto intorno a sé resta immobile e il semplice esercizio delle proprie virtù non riesce ad appagare un animo tragico. Alla struggente ricerca di una svolta della propria quotidianità, il dubbio si fa estremo e vagare per tombe e boschi infestati, pare l’unica via. Ed ecco che durante la strada appare il colore, l’anima e il calore della gioia natalizia. Si passa dal contorto mondo della città di Halloween, ad un manifesto della bontà della città di Natale. Jack, come un Prometeo in stop-motion, va alla ricerca di una via per uscire da questo circolo vizioso ormai putrido per recarlo ai suoi compaesani. Nessuno sembra comprendere; l’eccitazione del nuovo dev’essere filtrata attraverso il vecchio, altrimenti nessuno potrà mai recepire il nuovo messaggio. Eppure nel finale tutto torna alla sua stasi, con la consapevolezza che qualcosa di nuovo esiste, ed è possibile anche nel proprio campo.

Il cinema hollywoodiano contemporaneo, segue fedelmente questa traccia. La stessa Disney, produttrice di Nightmare Before Christmas attraverso la casa di produzione Touchstone Pictures, in questo momento sta vivendo una crisi contenutistica. Cercando di riproporre il più possibile vecchie storie a causa della penuria di creatività. Oggi più che mai si ha bisogno di un Jack Skellington nell’industria cinematografica d’oltremare, lì dove non si investe più sulla ricerca del bello e del nuovo ma si preferisce lasciare tutto così com’è, ripescando continuamente nei cult di un tempo. A 30 anni di distanza dall’uscita di quest’opera, viene spontaneo chiedersi se lungometraggi di questa portata autoriale, riusciranno a tornare di nuovo la priorità per le grandi case di produzione, scansando una volta per tutte le repliche in live action e i reboot che stanno infestando le sale da anni ormai.

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