Per i soldi o per la gloria: Intervista agli autori Domenico Monetti e Luca Pallanch

Un volume interamente dedicato alle figure dei produttori? Dopo gli ottimi testi accademici di Barbara Corsi, Giacomo Manzoli ed altri, in libreria arriva qualcosa di diverso, un vero e proprio libro-intervista agli uomini che per anni hanno posseduto le casse dell’industria cinematografia del nostro paese. Per i soldi o per la gloria. Storie e leggende dei produttori italiani dal dopoguerra alle tv private, edito da Minimum Fax, in coedizione con le edizioni del Centro Sperimentale di Cinematografia, è stato scritto da Domenico Monetti e Luca Pallanch. Questo è il primo tomo di un dittico la cui seconda parte è prevista per la pubblicazione l’anno venturo. Ne approfittiamo per rivolgere qualche domanda ai due autori, colleghi di lavoro sia al CSC che in campo editoriale, con diverse pubblicazioni all’attivo, tra cui la prima monografia su Matteo Garrone e una su Augusto Tretti, grande cineasta degli anni Settanta ancora da riscoprire.

Genesi di questo libro che inaugura una serie, “Storia orale del cinema italiano”. Come nasce e perché?

Monetti: Lavoriamo da anni assieme alla Cineteca Nazionale e ogni giorno abbiamo scambi di idee e di riflessioni sul cinema, la nostra passione. Tra i tanti sogni e progetti perseguiti, nel 2014 decidemmo di raccogliere le testimonianze della categoria più bistrattata nell’aneddotica cinematografica, i produttori, con particolare riferimento ai piccoli e grandi nomi che operavano prima e a cavallo dell’avvento delle tv private. Un momento epocale di passaggio che segna lo spartiacque tra il grande cinema del passato ed il cinema contemporaneo, in balia delle televisioni e delle piattaforme.

Pallanch: In virtù di un accordo tra il Centro Sperimentale di Cinematografia e Minimum Fax, con Per i soldi o per la gloria è stata inaugurata una nuova collana di libri, volta proprio ad approfondire la storia del nostro cinema attraverso le parole dei suoi protagonisti, non necessariamente noti al grande pubblico. Un intreccio di voci e di ricordi di chi il cinema lo ha fatto sul campo.

Per anni avete curato la programmazione del Cinema Trevi, la sala della Cineteca Nazionale, organizzando rassegne e incontri.

Pallanch: Per noi era importante accompagnare la proiezione dei film, scelti nell’immensa collezione della Cineteca Nazionale, con incontri alla presenza di critici, studiosi e dei diretti protagonisti. Dedicammo uno spazio anche ai produttori e ospitammo Gianfranco Piccioli, Roberto Levi e Valerio De Paolis. Tra i moderatori c’era Fabio Micolano, che ha collaborato poi al libro.

Nel corso delle lunghe interviste che avete fatto c’è stata qualche versione su un film raccontata da un produttore che è stata poi smentita da un altro intervistato?

Monetti: Abbiamo raccolto dichiarazioni su film o su fatti specifici poi contraddette da altri intervistati, ma per rispetto nei loro confronti abbiamo preferito lasciare le varie versioni, anche se discordanti. Del resto, soprattutto a distanza di tempo, la percezione degli eventi è sempre soggettiva ed è giusto, trattandosi di un libro di ricordi, di lasciare al lettore il gusto di orientarsi.

Pallanch:…anche perché alcuni produttori dopo aver lavorato in coppia per anni, hanno litigato tra di loro e quindi ci sono state vicende professionali ed esistenziali complesse e dolorose.

Avete sfatato qualche leggenda grazie a qualche intervista?

Monetti: Leggendo il libro, ci si accorge che la genesi di un film era ben più tormentata e ricca di sfumature di come possa apparire dai titoli di testa. C’erano produttori specializzati nel correre in soccorso di colleghi in difficoltà, spesso a riprese iniziate, ci sono stati finanziatori occulti che non volevano apparire, accordi tra case di produzioni per lo scambio di film. E poi, grazie a queste interviste abbiamo capito quanto il cinema sia un’arte collettiva. Spesso il regista è considerato l’unico autore del film, ma questa è una visione abbastanza romantica del cinema, da Cahiers du cinéma.

Pallanch: Alcuni progetti che sono passati sulle scrivanie di vari produttori e tra le mani di diversi registi. Non tutti, ad esempio, sanno che Il marchese del Grillo avrebbe dovuto girarlo Valerio Zurlini diversi anni prima di Mario Monicelli (la primissima idea cinematografica di questo soggetto risale addirittura al 1931 con Ettore Petrolini protagonista, ndr). Abbiamo cercato di approfondire i progetti non realizzati e di chicche come queste ne sono emerse a iosa.

Intervista a Domenico Monetti e Luca Pallanch

C’è stato un produttore che non siete riusciti a intervistare? 

Pallanch: Purtroppo manca Aurelio De Laurentiis, che fu costretto ad annullare un’intervista telefonica nel periodo del Covid per via di un impegno con il Napoli, ma di lui parlano molti colleghi, quindi è comunque presente. Così come sono citatissimi i giganti della produzione, come suo zio Dino, Carlo Ponti, Angelo Rizzoli, Goffredo Lombardo, Alberto Grimaldi, Alfredo Bini, Franco Cristaldi. Un’altra figura che ci sarebbe piaciuto molto intervistare era addirittura Silvio Berlusconi. Ci abbiamo provato, senza riuscirci, sempre a causa della pandemia. Con l’avvento delle tv private è diventato l’interlocutore principale di una buona parte del cinema italiano, soprattutto attraverso il suo braccio destro Carlo Bernasconi. A sentire le testimonianze di molti produttori legati alla galassia Fininvest-Mediaset, esiste un cinema italiano prima e dopo Bernasconi, per capire la sua centralità e quindi, indirettamente, quella del Cavaliere anche in questo settore.

Monetti: Non dimentichiamoci che, prima della sua attività di produttore, declinata su varie società e con vari partner, Berlusconi è stato un precursore della compravendita dei diritti televisivi dei film. Il Cavaliere acquisì, tra le altre, le library della Rizzoli Film e della Cineriz e, per un periodo, della Titanus, quando ancora non si percepiva il valore e le potenzialità di sfruttamento dei film, in quanto la Rai del monopolio mandava in onda pochissimi film italiani, comprati per poche lire. La questione dei diritti dei film dagli anni Ottanta in poi diventa una chiave fondamentale per comprendere l’intero settore cinematografico e le sue dinamiche interne, tanto da far emergere, accanto al produttore, la figura dell’avente diritto. 

Secondo voi, i produttori di un tempo erano preoccupati dell’importanza della critica dei giornali?

Monetti: Esistevano varie figure di produttori. C’erano quelli impegnati, legati a un certo mondo culturale, che sicuramente leggevano, si informavano e, puntando su prodotti di qualità, erano più sensibili alle recensioni, che fino a qualche decennio fa avevano un peso nelle scelte degli spettatori. Alcuni dei produttori che abbiamo intervistato del giudizio positivo o negativo di un critico se ne fregavano fieramente.

Cosa avete appreso sul cinema italiano dai racconti e dalle battaglie dei produttori?

Monetti: Innanzitutto, abbiamo capito quanto sia errata la figura del produttore tramandata nell’immaginario collettivo, tratteggiato come un “cafone”, attento solo al lato economico. Nei nostri incontri, oltre alla proverbiale simpatia di molti di loro, è emersa una sensibilità nemmeno troppo nascosta. Insieme a una grande passione, perché la maggior parte di loro amavano il cinema per davvero e pur di fare un film si sarebbero buttati sotto un treno. La spericolatezza è un tratto distintivo che andrebbe approfondito.

Pallanch: Un aspetto che connotava il cinema pre-televisivo era la dialettica tra produttore, da una parte, e registi e sceneggiatori, dall’altra, idealmente divisi da una scrivania. Le foto dell’epoca non a caso immortalano i produttori in ufficio e tutte le decisioni venivano prese lì. Quando negli anni Ottanta, i comici lanciati dalla televisione hanno cominciato a dirigersi da soli, è venuto meno un altro tassello di questa fertile dialettica e, progressivamente, gli attori si sono lanciati anche nel campo della produzione, per cui ora manca una vera e sana distinzione di ruoli. Tutti fanno tutto, ma nessuno fa veramente il produttore, il cui ruolo, come ogni imprenditore di qualunque settore economico, dovrebbe essere connotato da iniziativa e rischio. Allo stato attuale, iniziativa poca, rischio nessuno perché i film sono coperti da altre forme di finanziamenti. Noi abbiamo conosciuto produttori che ipotecavano e perdevano case per inseguire il miraggio di un film.

Ho letto che verrà stilato un altro volume all’interno di questa collana. Potete fare qualche anticipazione?

Monetti: Il secondo volume, sempre dedicato ai produttori, è previsto per la primavera 2024. Saranno inclusi un’altra trentina di personaggi, tra i quali il compianto Manolo Bolognini, Renzo Rossellini, Roberto Cicutto, Ettore Rosboch, Amedeo Pagani, Ovidio Assonitis, per fare qualche nome. Si spera che questa collana, appunto “storia orale del cinema italiano”, possa continuare con altri libri che rendano giustizia alle figure poco trattate in ambito saggistico. Personalmente ritengo che il cinema raccontato dalla diretta voce dei protagonisti abbia un appeal particolare e il nostro unico rimpianto è di aver iniziato troppo tardi questa impresa. Qualche anno prima avremmo intercettato altre voci fondamentali della produzione. Temo che anche per altre categorie, tipo montatori e autori della fotografia, scenografi e costumisti, il tempo stringa.

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