Luna Park, recensione della nuova serie italiana targata Netflix

Prodotta da Fandango, Luna Park (trailer) è la nuova serie scritta e ideata da Isabella Aguilar, disponibile su Netflix a partire dal 30 settembre.

La serie è ambientata nella Roma degli anni ’60 e segue le vicende di Rosa (Lia Grieco) e Nora (Simona Tabasco), due giovani provenienti rispettivamente da una famiglia di estrazione borghese, i Gabrielli, e una di giostrai itineranti, i Marini, che lavorano presso un luna park. A partire dalla sera in cui Nora legge nei tarocchi che la sorella di Rosa -scomparsa da piccola- è ancora viva, tra queste due giovani apparentemente diversissime inizia a svilupparsi un rapporto fatto di misteri e segreti che si intrecciano con le vicende storiche della Roma del periodo.

Un grande punto di forza della serie, infatti, è quello di coinvolgere nella narrazione le peculiarità del momento storico italiano essendo gli anni Sessanta un decennio complesso dal punta di vista politico, con la forte influenza della Democrazia Cristiana e la paura della guerra fredda che coincidono anche con un’era dell’oro del cinema italiano. Roma è proprio al centro di questo cambiamento, insieme alla nascita del secondo canale, più dedicato al varietà, e dell’esplosione del divismo televisivo.

La famiglia della protagonista Nora è una famiglia di giostrai nomadi che ha scelto di stabilirsi e costruire un luna park “fisso”, chiaro richiamo al Luneur, il parco divertimenti più antico di Italia e simbolo storico di una Roma nei suoi fasti, nell’epoca della dolce vita: la stessa ambientazione “circense”, dell’avanspettacolo e dell’intrattenimento quasi “felliniana” è molto centrale.

Le protagoniste della serie sono due figure femminili interessanti. Nora, che ha perso la madre in giovane età, vive in questa affiatatissima famiglia allargata e ha dovuto presto imparare a cavarsela da sola, ad essere indipendente e intraprendente. Rosa, invece, è una giovane borghese dal cuore buono e dalle buone maniere, ma ha anche una sua forte personalità: già nell’episodio pilota la vediamo leggere Henry Miller nonostante gli “avvertimenti” degli uomini della sua famiglia.

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Entrambe le donne, nonostante la diversa estrazione sociale, cercano un proprio posto nel mondo al di là delle figure che le “tengono a freno”: l’enigmatica nonna Miranda (Milvia Marigliano) e l’amico di sempre Celeste (Matteo Olivetti) per Nora e il padre (Paolo Calabresi) e il fidanzato Matteo (Edoardo Coen) per Rosa. In Luna Park, ma anche come in Baby, sempre scritta da Aguilar, sono proprio le due giovani donne a condurre la narrazione grazie al loro coraggio e alla tenacia, aprendo anche a una riflessione sui ruoli di genere nell’epoca.

Anche i personaggi di contorno alle protagoniste sono ben costruiti. C’è la famiglia di Matteo e Simone (Alessio Lapice), i Baldi, il contrappunto “comunista” rispetto ai conservatori Gabrielli, dove oltre Rosa emergono Giggi (Guglielmo Poggi), il fratello minore con il sogno di diventare un attore famoso e il padre Tullio, patriarca della Roma bene con moltissimi segreti che paga un investigatore privato apparentemente per cercare la figlia scomparsa, ma con il quale in realtà tiene sotto controllo l’amministrazione e i traffici economici della città eterna.

Il ritmo della serie riesce a tenere testa ai prodotti d’oltreoceano, mantenendo una narrazione tradizionale è capace infatti di non scadere nella lentezza della soap grazie una costruzione della suspense decisamente efficace che spinge lo spettatore a proseguire nella scoperta del mistero. La serie, tagliata per una seconda stagione, non riesce a sciogliere tutti i nodi che presenta, anche a causa la brevità del suo formato (sei puntate da massimo 60 minuti), ponendo le basi per poter proseguire nell’esplorazione della vicenda presentando innumerevoli conflitti che mantengono sempre alta l’attenzione.

Luna Park è una riflessione sulla memoria, sulla famiglia e sul ricordo, con un tocco nostalgico nei confronti dei dispositivi di cui c’è una presenza costante, come il proiettore di diapositive e filmati, le prime Polaroid, richiamando quella vicinanza tra dispositivo cinematografico e attrazione, intrattenimento. Interessanti anche la presenza della televisione, centrale nella narrazione in più punti e della fotografia analogica che contribuisce, seguendo gli esempi di Hitchcock e Antonioni, alla risoluzione della suspense e del mistero, elementi caratteristici della serie.

Isabella Aguilar, insieme ai registi Leonardo D’Agostini (Il Campione) e Anna Negri (Baby), costruisce un prodotto di intrattenimento puro ma di altissima qualità, ponendo questioni riguardo l’identità, il ricordo e  il significato stesso di famiglia.

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