L’ultima luna di settembre, la recensione: il padre e la prateria

L'ultima luna di settembre, la recensione del film

Ad un anno di distanza dalla sua uscita nel paese di origine, la Mongolia, L’ultima luna di settembre (trailer) arriva in Italia “in punta di piedi”, senza clamore o particolare interesse da parte del grande pubblico. Una storia dal forte sapore autoriale, che scava con una pregevole tecnica all’interno di tematiche come la famiglia ed il rapporto con la propria terra d’origine. Film debutto per praticamente l’intera troupe e cast, dove troviamo alla regia Amarsaikhan Baljinnyam che cura anche la scrittura assieme a Bayarsaikhan Batsukh (anche montatore della pellicola), e l’interpretazione del protagonista Tulga.

L’ultima luna di settembre è un film ricco emotivamente, capace di un’interiorità profonda e di una cura dell’immagine di grande rilievo. Cast molto ridotto e praterie a perdita d’occhio, sono “vivi” all’interno della pellicola, cioè fungono da elementi conduttori di tutta la storia. Lì dove la città viene inquadrata di scorcio, da un angolino su una panchina, la campagna prende il sopravvento sui fotogrammi e la figura umana non è più padrona. Nessuno è padrone in questa terra incontaminata. I campi, una volta falciati, vengono abbandonati fino all’estate successiva. Qui, Tulga, costretto a tornare nelle sue terre d’origine per la dipartita del padre, si assumerà il compito di finire il raccolto iniziato dal defunto genitore. Seppur un soggetto semplicissimo ed una scrittura che si riduce a pochi ma significativi e ben scritti dialoghi (senza guizzi di trama e con un rapporto quasi naturalista con la regia), possano far storcere il naso agli amanti dell’azione e dei colpi di scena, la narrazione è capace di far immergere lo spettatore in maniera eccelsa. Questa sensazione è alimentata anche dall’emozionante interpretazione del giovane Tenuun-Erdene Garamkhand, calato nei panni di Tuuntulei, un bambino “vicino” di tenda di Tulga, che si affezionerà particolarmente a quest’ultimo poiché entrambi condividono l’eredità di essere orfani di padre.

L'ultima Luna di Settembre, recensione del film esordio di Baljinnyamyn Amarsaikhan

L’ultima luna di settembre trova anche il suo pregio nelle musiche (curate da Odbayar Battogtokh); spaziando da canti pastorali a piccoli esercizi di armonica, armonizzati perfettamente ad una fotografia (Josua Fischer) realistica, mai piatta, connotata da una punta drammatica dove la luce naturale, alternata a lumini e fuochi accesi, si fonde al cammino sepolcrale dove morte e vita coesistono. Il cammino/immobilismo spirituale di Tulga si propone come una piccola crepa all’interno di un muro in cui possiamo vedere per poco. Esistenze che si intrecciano fino a sciogliersi di nuovo così come si sono unite, comandate dal caso e dagli eventi. Le campagne della Mongolia vengono vissute per 90 minuti in modi a cui noi occidentali non siamo abituati; in alcuni casi si fa fatica a comprendere le dinamiche che si svolgono e sono le stesse a suscitare nello spettatore inevitabili contrasti e dubbi morali, che portano a vivere il film con grande trasporto. L’unica nota veramente negativa, ma che non ha nulla a che fare con lo splendido lavoro del regista, è il doppiaggio. La nostra fortuna è stata proprio nel poter vedere il film in lingua originale sottotitolata, elemento che consigliamo soprattutto a coloro che intendono godere dell’opera appieno nella sua interezza. Confrontando la visione in sala in originale, con il trailer doppiato (ma anche solo confrontando i trailer fra di loro) ci si rende subito conto che è stato fatto un lavoro veramente di scarso pregio, portando a perdere tutte le sfumature delle interpretazioni dei due protagonisti.

In conclusione: L’ultima luna di settembre è un lungometraggio di grande pregio, un’opera prima che apre le porte in pompa magna a quella che potrebbe essere una carriera simile, senza risultare pretenziosi, a quella di Bong Joon-ho (recensione del primo film Cane che abbaia non morde). Film che riesce a funzionare su tutti i livelli e, cosa forse più importante, fa emozionare. Non si parla del solito film d’autore fine a sé stesso, pieno di tecnicismi che lo rendono interessante solo ad un pubblico studiato e calcolato. Le difficoltà di questo genere stanno proprio nel riuscire a colpire l’animo delle persone, senza trascurare tutto il lato tecnico e virtuoso. L’ultima luna di settembre ci riesce in pieno. Da vedere possibilmente in lingua originale.

Il film esce nelle sale il 21 settembre.

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