Cane che abbaia non morde, la recensione: all that jazz

Cane che abbaia non morde recensione film bong joon-ho

Ventitré anni sono passati dalla sua uscita in Corea. Ventitré anni ci sono voluti affinché atterrasse anche sullo Stivale. Se già nel 2020 la distribuzione italiana di Memorie di un assassino (2003) aveva esortato lo spettatore a tornare indietro fino alla seconda tappa della filmografia del suo regista, oggi la distribuzione italiana del seminale Cane che abbaia non morde (trailer) di Bong Joon-ho completa quel processo di (ri)scoperta di un autore internazionale. L’esordio alla regia del maestro è un concerto jazz di generi cinematografici che, improvvisando il loro ingresso e la loro dipartita scena dopo scena, danno origine ai risultati più geniali, cinici e grotteschi. Al pari di altri celeberrimi esordi – citiamo ad esempio Le iene (1992) di Quentin Tarantino, Sydney (1996) di Paul Thomas Anderson e Amores perros (2000) di Alejandro González Iñárritu – Cane che abbaia non morde è la prima partita a calcio di un futuro Pelé o Diego Armando Maradona.

Ko Yun-ju (Lee Sung-jae) è un fragile marito ammorbato dal continuo latrare di un maltese del suo condominio. L’uccisione del cane ad opera dell’uomo scatenerà una trama di disordini e fughe che coinvolgeranno anche la stramba assicuratrice Park Hyun-nam (Bae Doo-na), decisa ad indagare sulla scomparsa della docile creaturina. La contaminazione dei generi cinematografici impera fin dalla prima inquadratura del protagonista di spalle e raggiunge l’apice in specifici momenti del film, quando non abbiamo certezza di come la matassa andrà a sciogliersi. Il film comincia come se fosse un thriller su un goffo psicopatico che, prima, si lamenta della sua candidatura a professore universitario e che, poi, rincorre il fastidioso cane per i corridoi aperti di un condominio gigantesco. Potrebbe buttarlo giù dal terrazzo… ma una signora anziana con la mania dello sputo e degli asparagi sarebbe l’ingombrante testimone del misfatto. Potrebbe portarlo nella cantina desolata ed impiccarlo ai tubi del soffitto… che pena però ascoltare i suoi rantoli. Meglio abbandonarlo in un armadio in disuso, così almeno né vedremo e né sentiremo la sua morte.

L’uccisione dell’amabile maltese è una sequenza horror dal profondo humor nero, in cui il crescendo quasi demenziale della tortura non fa altro che seminare nel suo testo le tracce drammaturgiche del protagonista assassino. Ko Yun-ju è infatti un vigliacco che bacia con amore il pancione della moglie incinta, ma che continua purtroppo a non lavorare e a lasciarsi suggestionare dai latrati dei cani del condominio. Ko Yun-ju fugge da quel sistema di classi fagocitato dal politico e sociale coreani e trasforma così i suoi fallimenti e frustrazioni in una vendetta spregiudicata nei confronti dei cani. Il maltese dell’inizio, come anche gli “amici” a quattro zampe che verranno dopo, sono pertanto un recondito richiamo alle responsabilità familiari e alle aspirazioni borghesi. Il protagonista maschile non si arma di coscienziosità e sembra pertanto vivere in una dimensione infantile che lo costringe a scappare via dai problemi – la stessa maledizione corrode in un certo senso molti personaggi stralunati della filmografia di Bong Joon-ho.

Cane che abbaia non morde recensione film bong joon-ho

Il migliore amico dell’uomo in Cane che abbaia non morde è un campo magnetico che racconta le qualità, i desideri e gli istinti dei suoi personaggi. Nonostante dunque il suo latrare, l’animale parla al posto degli umani protagonisti e, oltretutto, dischiude visivamente il desiderio di fama dell’assicuratrice Park Hyun-nam. Lei è una piccola ragazza annoiata dal suo lavoro che aspira a diventare un fenomeno televisivo e radiofonico, ma che purtroppo mai si spreme per realizzare questo sogno. Si finge così investigatrice per ritrovare quei cani misteriosamente scomparsi. Salvarli darebbe una svolta alla sua monotona vita e la consegnerebbe a quei riflettori tanto desiderati. In una delle scene più poetiche e coinvolgenti del film, Park Hyun-nam si muove per salvare uno dei cani dalla fame di un parassita che sempre ha vissuto nascosto nei meandri più desolati della cantina. Park Hyun-nam si accorge che il cane sta per diventare uno spiedo da mangiare ed è allora che la sua camminata si fa decisa e coraggiosa, mentre una folla immaginaria urla dai tetti il suo nome e lancia coriandoli in suo onore.

Guardare oggi Cane che abbaia non morde significa scoprire le radici dello humor e delle tematiche che da sempre caratterizzano la filmografia di Bong Joon-ho. Il regista scherza con lo spettatore presentandogli situazioni parossistiche, caratterizzate da una macabra e comica distorsione di fondo. La satira pungente alla burocrazia coreana emerge così nell’ironica tragedia dei fatti: Ko Yun-ju è un professore, ma può insegnare se dimostra di reggere l’alcool e se paga al santone che lo precede una quota esorbitante; sua moglie è incinta e il suo lavoro non offre il sussidio per la maternità. Come Memorie di un assassino e The Host (2006) usavano i pretesti del killer e del mostro per indagare rispettivamente gli investigatori e la redenzione paterna, allo stesso modo Cane che abbaia non morde usa il miglior amico dell’uomo per raccontare cosa di più intimo alberga nei personaggi che lo circondano. Il concerto jazz di Bong Joon-ho è un esordio mirabile e coinvolgente che critica pesantemente la politica e i costumi diffusi. La felicità può soltanto realizzarsi nell’illusione di passeggiare oltre la finestra della propria prigione… una prigione che sono le mura di casa.

Al cinema dal 27 aprile.

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