Il mostro dei mari, la recensione del film su Netflix

Il mostro dei mari, recensione film d'animazione netfli

La piccola Maisie Brumble vive in un orfanotrofio. Un giorno raduna le sue cose e fugge via: vuole salpare a bordo dell’Inevitabile, il veliero del Capitano Crow, andare a caccia di mostri marini e morire d’una morte eroica, come i suoi genitori. Grande è la forza che la anima, eppure Jacob Holland, pupillo e futuro erede del vecchio Crow, non si lascia persuadere: mette la ragazzina sul primo calesse che trova e la spedisce a casa. Anch’egli ha perso i genitori in mare quand’era solo un bambino. Il Capitano lo prese con sé e ne fece il miglior cacciatore di mostri dell’intero regno. Da trent’anni sono sulle tracce della creatura più grande e spaventosa in circolazione. La chiamano la Furia Rossa. Sono disposti a tutto pur d’acciuffarla, anche a dare la vita. L’irruzione di Maisie farà sì che il vento cambi, e le più antiche e sacre convinzioni schricchioleranno per poi colare a picco.


Il mostro dei mari (trailer) è bello perché è qualcosa di già visto. Parliamo di un plot ricorrente nelle fiabe tanto quanto nei film per ragazzi, dove la sconfitta del mostro o la pace con esso trasfigurano la necessità di venire a patti con ben altri mostri, quelli generati dal sonno della ragione o quelli evocati da traumi respinti negli abissi dell’inconscio. L’eroe (o gli eroi) della vicenda devono confrontarsi con esseri e forze estranei al proprio mondo, con l’Altro, il Diverso, con il Mostruoso, fino all’agnizione per cui il nemico si svela quale mero capro espiatorio dell’eroe, oggetto di demonizzazione atto a spostare il conflitto fuori da sé. Ma è difficile rinunciare alle proprie certezze, lasciare il porto consueto e navigare verso plaghe sconosciute. E più invecchiamo, meno siamo disposti a rivedere i nostri valori.

Per una bambina come Maisie è più facile. Per Jacob è ardua, ma non impossibile. Infime speranze per il Capitano Crow, letteralmente accecato dalla vendetta da quando, anni prima, perse un occhio combattendo la Furia Rossa. Abbiamo tra le mani un film sul conflitto generazionale, ma anche sul valore della famiglia, sul coraggio, sulla tolleranza del Diverso, e soprattutto abbiamo una riflessione intorno al tema (in questo periodo decisamente scottante) della guerra fra popoli. Di certe guerre s’è dimenticata persino la scaturigine, si combatte per obbedienza agli ordini e a un odio lungamente esacerbato dalla narrativa promossa dai media, potente mezzo di disinformazione nelle mani della cultura egemone. E per ciò questo è anche un film sulla verità.

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Chris Williams (Premio Oscar al miglior film d’animazione per Big Hero 6) viene dalla Disney-Pixar, ma con questo lavoro pone le basi per una duratura collaborazione con la Netflix Animation. Professionista navigato, dà all’azienda la possibilità di dimostrare che la Disney e la Dreamworks non sono le sole brave a fare miracoli con l’animazione digitale. E c’è da dire tuttavia che parte del merito è da spartire con la Sony Pictures Imageworks, co-creatrice del lungometraggio. L’aspetto grafico non delude, lo script è un congegno solido e fa scattare azione e stasi nel giusto momento: ci sarebbero tutti i presupposti per un lauto guadagno di cassetta, se solo il film fosse stato distribuito regolarmente, invece di essere disponibile in poche sale selezionate negli USA ed esclusivamente on demand negli altri paesi.

Su, non demonizziamo lo streaming. Forse è vero, per molti tutta questa comodità e varietà di scelta ha reso la sala obsoleta. Ma è anche vero che Netfix, con la sua politica di laissez faire creativo, concede agli artisti una libertà che nelle produzioni iper-controllate di cinema e televisione sarebbe impensabile. E se non sarà un bene per i cinema, sicuramente lo è per il cinema. Non è forse Netflix stessa questa Furia Rossa pronta ad inghiottire l’intera nave dell’audiovisivo con le sue fauci spropositate? Sì ma una volta finiti nel ventre della creatura, non ci si sta poi mica tanto male.

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