I delinquenti, la recensione: alla ricerca della libertà

i delinquenti, recensione del film

Morán (Daniel Elías) fuma ogni giorno la sua ultima sigaretta. Quasi tutti in città, nella pausa lavorativa, riversano su una sigaretta tutto lo stress accumulato. I tempi di quando si poteva fumare ovunque, anche dentro il cinema, sono passati. Ma è rimasto ancora qualcosa di quel cinema di ieri? Se lo chiedono proprio in un film: I delinquenti di Rodrigo Moreno (trailer), presentato in anteprima mondiale nella selezione Un certain regard del Festival di Cannes 2023.

Morán è un uomo come tanti, un po’ rado e con la pancetta. Puoi incrociarlo per le vie di Buenos Aires ma sarà difficile distinguerlo tra la folla. Un completo grigio, una cravatta blu e uno zainetto sulla spalla – quanto di più anonimo? – sono la sua divisa per il lavoro in banca. Il momento più emozionante della sua giornata è quando scende nel caveau della banca e si ritrova tra le mazzette di soldi con il suo collega. Poi un giorno, l’uomo qualunque diventa un delinquente. Con un colpo e molta strategia si assicura la cifra giusta per garantirsi, finalmente, la vita che desidera. E con lui Román (Esteban Bigliardi), un altro che in quanto ad anonimato ne sa sicuramente.

Cosa scegliere: tre anni e mezzo di galera o altri venticinque di lavoro in banca? Per Morán sembra molto più conveniente la prima. Sono delimitate entrambe da sbarre, governate da qualcuno che decide tutto – non a caso, il capo della banca e il delinquente che controlla la prigione con i suoi metodi violenti sono interpretati dallo stesso attore (Germán de Silva) – e lasciano lo spazio a ben pochi piaceri. Ma almeno in prigione si può leggere. Così le pagine de La Gran Salina di Ricardo Zelarayán illuminano la strada per la libertà perduta che tutti gli uomini meritano di vivere ancora. Tra l’altro, sempre in prigione si è liberi dagli schermi nemici che rubano quel poco tempo che ci rimane da condividere con gli altri. Una chiamata al giorno, magari anche senza risposta: questo è l’unico tempo che è concesso alle tecnologie.

I delinquenti recensione film Rodrigo Moreno DassCinemag

Ormai ci si somiglia un po’ tutti. Una signora si reca in banca e non può incassare un assegno perché la sua firma è identica a quella di un altro contribuente. In città ci si riesce a distinguere solo chiedendo alle persone che lavoro fanno; come se in quel lavoro ci fosse l’essenza di ognuno di noi. Anche i nomi sembrano tutti uguali. Morán e Román si innamorano della stessa donna, Norma (Margarita Molfino), che vive nella pampa soleggiata con la sorella Morna (Cecilia Rainero), che con Ramón (Javier Zoro Sutton), un regista, è impegnata a realizzare un film. O forse un video, perché Ramón afferma che il cinema è morto in quanto tale. Come dargli torto, ogni volta che Moreno ci porta in un cinema questo è semi-vuoto, le persone si spostano da un sedile all’altro o se ne vanno prima della fine.

Le vite di Morán e Román finiscono per coincidere sempre di più nella foresta di Alpa Corral. Lì, dove l’acqua dei fiumi scorre limpida e montagne di rocce difendono il territorio dall’intervento umano, scoprono quanto l’umanità ha ceduto per vivere nell’illusorietà del comfort. Rodrigo Moreno, nella seconda parte del film, porta lo spettatore dentro la natura incontrastata e le concede tutto lo spazio che merita. Come Ramón, si muove con curiosità in quello spazio spesso mostrato con infinite panoramiche. Nella Sierra di Cordoba Morán, che non manca di intonare Adónde está la libertad di Pappo’s Blues, finalmente la trova. Difficile dire se il cinema sia morto in quanto tale, certamente il lieto fine conserva sempre il suo fascino.

Al cinema dall’11 aprile.

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