Godland – Nella terra di Dio, la recensione: la terrificante bellezza di una terra malformata

Godland - Nella terra di Dio, la recensione: la terrificante bellezza di una terra malformata

Come sempre, i mesi che seguono la fine di un festival sono in primis possibilità per riscoprire la vasta estensione della selezione, dai titoli più roboanti al più piccolo film indipendente che ha suscitato l’interesse di qualche distributore. Nel caso di Godland – Nella terra di Dio (trailer), potremmo dire persino non solo di aver scoperto un piccolo gioiellino ma un titolo che, probabilmente, meritava il concorso.

Procediamo con ordine. È il terzo lungometraggio di Hlynur Pálmason, regista di nascita islandese ma di formazione norvegese, giunto dalle nostre parti solo nel 2019 con il suo secondo lungometraggio, A White, White Day – Segreti nella nebbia (il primo, Vinterbrødre, da noi non è stato distribuito). Godland è stato presentato al Festival di Cannes nella “seconda” (se non terza) sezione più importante, Un certain regard: per intenderci, quella dove ha trionfato Vicky Krieps per la sua interpretazione ne Il corsetto dell’imperatrice.

Islanda, tardo diciannovesimo secolo. L’isola è ancora sotto il dominio norvegese (le cose resteranno così fino al termine della Seconda guerra mondiale), e al giovane prete Lucas (Elliott Crosset Hove) viene affidato l’incarico di intraprendere un viaggio per documentare, attraverso una macchina fotografica, le usanze quotidiane dei propri abitanti e costruire una chiesa. Lo accompagneranno un interprete e Ragnar (Ingvar Sigurdsson), guida locale.

La scintilla iniziale per Pálmason giunge dal ritrovamento proprio di sette fotografie, rinvenute accanto al corpo esanime di un prete sulla costa sud-orientale dell’Islanda nel periodo sopra indicato. Il successivo sviluppo è quasi completamente frutto della fantasia del regista, che ha colto l’occasione per discutere anche in parte di se stesso, scovando nella parabola di questo prete una storia per discutere il conflitto tra l’identità norvegese e islandese. 

Uno scontro che avverrà perlopiù tra il protagonista e Ragnar, decisamente a suo agio nel percorrere gli spazi che più conosce e a non sottovalutare le intemperie e i “segnali” che essi trasmettono (il racconto delle anguille, una delle sequenze più evocative del film). Lucas, dall’altro lato, è sì portatore di conoscenza, della parola del Signore, ma allo stesso tempo è colui che pecca anche di superbia, che dall’alto della sua carica osserva il resto del mondo, soprattutto l’inferiore Islanda, come un luogo di zoticoni con cui faticherà a trovare una base comune anche semplicemente per conversare.

“Devi adattarti” è il monito con il quale Lucas era stato avvertito. Ma questo difficile processo sembra destinato al fallimento, sin dalle prime battute. E Pálmason ci aiuta a percepire questa dimensione ambigua del paese “terribilmente bello” (come lo definirà un altro personaggio in seguito) sin dal titolo, diverso nelle versioni norvegesi e islandesi, mostrate tutte e due nel film: Vanskabte Land e Volaða Land, letteralmente “terra malformata”.

Inquadrata da Maria von Hausswolff attraverso un suggestivo formato 1.33:1 (quadrato) e il continuo ricorso alla carrellata e al movimento panoramico, sia verticale che orizzontale (e in alcuni casi anche completando la percorrenza di questo, arrivando ad una rotazione di trecentosessanta gradi), la sfida ingaggiata all’uomo da questa terra logorerà prima fisicamente e poi moralmente Lucas. Godland infatti si divide in due parti: quella del viaggio a piedi e a cavallo, e quella nel villaggio dove il protagonista seguirà i lavori per la costruzione della chiesa.

Qui egli incontrerà Carl e le sue figlie – Anna e Ida -, famiglia norvegese e proprietaria della fattoria che ospiterà i viaggiatori. Lo scontro qui, come anticipato, si accentuerà, anche “grazie” all’animo xenofobo di Carl, che non mancherà mai di sottolineare le sue antipatie per Ragnar e il suo popolo (la sequenza a tavola).

Da film dalla duplice anima su due popoli destinati a non incontrarsi, ed è doveroso qui sottolineare quanto Pálmason dia spazio registicamente a tutte e due le soggettive, in questa seconda parte il discorso è strettamente ideologico; di natura colonialista, del rapporto tra la parte dominante e quella sottoposta, in apparente tregua ma pronte a massacrarsi al primo inasprirsi delle tensioni (la “danza della lotta” che da gioco diventa scontro fisico tra Lucas e Ragnar).

L’invito è quello di lasciarsi travolgere dalla portata favolosa e sublime delle immagini di Godland. Ma anche dalla natura fagocitante della terra islandese che tutto assorbe e fa ritornare a se stessa, proprio come l’anima e il corpo del cavallo di Lucas mostrato nelle sequenze finali.


Godland – Nella terra di Dio è nelle sale italiane dal 5 gennaio, per la distribuzione di Movies Inspired.

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