Damsel, la recensione del film su Netflix

Damsel

Sulla scia di quel cinema recente determinato a raccontare senza esitazioni o compromessi il volto oppresso della storia di genere, Damsel (trailer) di Juan Carlos Fresnadillo è un’opera fieramente femminista che estrae la spada dalla roccia e combatte la sedimentazione di convenzioni e rituali. Ora, seduta al posto di Re Artù alla tavola rotonda, c’è un’inconsueta eroina. O meglio, un Prometeo femminile con la missione di scendere nel mondo a portare il fuoco di una conoscenza non avvelenata dal serpente. Damsel opera in questi termini fin dalle prime battute in voice over della principessa Elodie (Millie Bobby Brown): «Esistono molti racconti cavallereschi in cui l’eroico cavaliere salva la donzella in pericolo. Questo non è uno di quelli».

Questa brevissima introduzione alla storia sovverte in maniera interessante i canoni conosciuti secondo cui è il maschio ad agire, rimarcando inoltre la fatica di ascoltare sempre la medesima novella. Tuttavia, il proposito ideologico di volersi definire (in ogni punto e per ogni cosa) all’infuori della bolla non basta a reggere un prodotto che sembra a tratti un film e a tratti un pamphlet. Quest’ultimo punto ne rappresenta tanto i difetti quanto i pregi. Se delle volte infatti la forte prospettiva ideologica di Damsel mina la credibilità dei personaggi e dell’opera tout court – ogni parola, ogni gesto e ogni persona sono scritti per lanciare un messaggio preciso – altre volte questa apre scenari inaspettati in cui siamo con la protagonista e ci identifichiamo col suo percorso. Vincente, in tal senso, è la decisione di ambientare gran parte del film nei meandri più oscuri di una montagna sconosciuta. Questa è tanto un luogo fisico quanto la culla senza tempo del rimosso femminile e di una ferita inferta tempi orsono dagli uomini.

Il Male ha risvegliato un mostro incontrollabile e, quando il matrimonio di Elodie col principe Henry (Nick Robinson) fallisce terribilmente, l’ex principessa dovrà affrontare una durissima prova di sopravvivenza e risorgere dalle ceneri della menzogna e dell’ingenuità latenti. La missione di Elodie si trasforma nella voce di tutte le donne oppresse dalla Storia, o meglio dalla circolarità con cui gli eventi sono lasciati accadere: il destino delle giovani donne è nella ritualità del sacrificio e nella sottomissione a cosa vuole la Storia. Quando ciò accade ad Elodie, comincia per lei un viaggio paradossalmente strano di comprensione interiore entro la caverna più profonda. Strano, perché la protagonista non ha nulla per cui cambiare. Ella non possiede un impedimento interiore (o fatal flaw) che la trattiene da non perseguire il suo obiettivo, in questo caso la salvezza del suo popolo – esempi di fatal flaw possono essere le difficili origini familiari di Maggie in Million Dollar Baby di Clint Eastwood, oppure il mancato salvataggio degli “agnelli” da parte di Clarice ne Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme. L’unica colpa o impedimento di Elodie in Damsel è la troppa ingenuità e fiducia iniziale verso il prossimo… ma certamente non si può fare di qualcosa di così umano una colpa!

La protagonista interpretata da Millie Bobby Brown non ha dunque un cammino da percorrere, all’infuori di quello ideologico di connettersi alla sofferenza delle donne che l’hanno preceduta. La riscoperta di una sorellanza femminile intergenerazionale è un punto di arrivo che non ha un’origine, perché la protagonista non gode del pathos di un conflitto. Oltre alla vicenda del film per cui Elodie è costretta ad imbracciare le armi, la protagonista semplicemente non ha un arco di trasformazione. O se lo ha è minimale, perché Elodie sa pensare con la propria testa fin dal principio. Ella è solo un personaggio a cui accadono delle cose: è la vittima di un’ingenuità, gettata nel buio di una Storia che vorrebbe cucirle addosso il ruolo di damigella in pericolo. «Tutto è stata una menzogna» dice un personaggio chiave, come a dire che i cavalieri sono sempre stati delle trappole che hanno condotto ad altri tranelli più elaborati.

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Fortunatamente, prima di diventare la non plus ultra della sopravvivenza e del coraggio – lo si è già visto questo con Helena Shaw in Indiana Jones e il quadrante del destino di James Mangold, in cui la donna sa a prescindere fare tutte cose – Damsel “consente” ad Elodie di provare la reazione umana della paura nei confronti del drago della montagna. Ad aumentare la tensione ci pensa il fatto che la protagonista sbaglia: ella rimane ferita durante una fuga, ponendola così nella condizione di trovare delle strategie per vincere la morte. Questo passaggio dell’errare è umano tuttavia è qui solo accennato, e purtroppo, non ha un approfondimento in fasi come un qualsiasi addestramento necessita. Proviamo ora a fare un paragone con Rita Vrataski di Edge of tomorrow – Senza domani di Doug Liman: ella non trova subito la strategia adatta a vincere i nemici extraterrestri ma, assieme a William Cage, cerca sempre altre strade ogni qual volta che entrambi tornano indietro nel tempo.

Damsel invece non lascia identificarci con un’eroina che può imparare, perché tutto è purtroppo già a portata di mano. La maggior parte dei problemi si risolvono infatti con uno schiocco di dita. La montagna è un labirinto di cunicoli e strade più ampie in cui è facile perdersi, ma Elodie trova una mappa che altre donne prima di lei avevano disegnato; la mappa qui funge da filo connettivo extra-temporale, capace di legare tutte le donne e la loro oppressione. Il mostro è pericoloso, ma Elodie (per nostra sorpresa) è anche un guerriero che sa già brandire una spada; pur non essendo una stratega, lei già sa fare tutto il necessario per uscire viva.

Sono in vigore anche delle strane gerarchie familiari che (forse) non si sposano troppo con l’immaginario medievale di riferimento. Il padre (Ray Winstone) e la matrigna (Angela Bassett) della protagonista sono regnanti che non riescono ad esercitare alcun potere nei confronti della figlia. Ad esempio, questi non spendono tempo ad ordinare ad Elodie di sposarsi; ella semplicemente si convince di agire in tal senso, vista la situazione del suo popolo affamato e morente. Un proposito coraggioso senz’altro, ma rimane la domanda del perché. Perché i genitori di Elodie si comportano come una coppia americana progressista che ha vinto le battaglie interraziali? Addirittura, in una scena cruciale del film, la matrigna si rivolge alla figlia dicendole che se vuole può anche non sposarsi. Perché la figlia ha così tanta libertà di movimento?

Queste domande senza risposta lasciano intende un potenziale inespresso, qualcosa che il film purtroppo non ci fa vedere. Il popolo di Elodie e dei suoi genitori-sovrani è ad esempio un’opportunità inesplorata. Pur essendo la ragione della sua decisione a sposarsi, il popolo è inesistente all’infuori di qualche inquadratura nel prologo. Segno questo che manca qualcosa in Damsel. In conclusione, il film di Juan Carlos Fresnadillo è sì una riscrittura ideologica de il viaggio dell’eroe che riesce pure a strappare una piacevole ora e quaranta di entertainment, ma rimane un film d’azione con una protagonista seriosa e piatta. Il messaggio c’è, ma chi lo veicola non è carismatico.

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