Creature di Dio, la recensione: una violenza nascosta

Creature di Dio

Chi ha abbastanza spirito d’avventura conosce bene quell’attimo, prima che sorga il sole. Tutto è avvolto da un alone di mistero. Così è Brian (Paul Mescal), uno dei personaggi principali di Creature di Dio (trailer). Aileen (Emily Watson), la madre, lavora nell’allevamento di ostriche di famiglia. Si occupa di dividere quelle commestibili o no, in una sorta di fabbrica insieme ad altre donne che non vedranno mai cosa c’è prima dell’alba.

Brian, come il sole, sembra spuntare dal nulla, dopo un lungo viaggio imprecisato. L’incontro tra lui e la madre è un’esplosione di gioia e amore che subito insospettisce. Il figlio è interpretato appunto da Paul Mescal, che abbiamo incontrato alcuni mesi fa al cinema con Aftersun. Anche in quel caso si nutriva uno strano sospetto verso il suo personaggio. Faceva alcune cose al limite tra la vita e la morte. Qui lo troviamo a raccogliere le ostriche in condizioni spesso pericolose. Questo suo essere “al limite” tra il bene e il male lo si ritrova nel rapporto con la madre e il padre. Se con la madre è amorevole, con il padre alterna momenti di cura e accudimento ad altri di odio e insulti gratuiti. Il sospetto è alimentato, come in Aftersun, con la musica. Suoni stridenti accompagnano situazioni di apparente normalità.

Creature di Dio

Tra le donne chiuse nella fabbrica, c’è solo una ragazza, Sarah (Aisling Franciosi), che fin dall’inizio sogna qualcos’altro. Un futuro da qualche parte. Mentre ci si perde nei paesaggi e nell’atmosfera umida del film, succede qualcosa. Sarah non si fa più vedere a lavoro, non esce di casa. Si pensa che qualcuno l’abbia violentata. Ci sono dei sospetti, appunto, verso Brian. E Sarah stessa lo dichiarerà. Il figlio che Aileen ama più di ogni altra cosa al mondo. La madre cercherà di difenderlo restando nell’ombra, mescolandosi ai silenzi burrascosi della marea.

La regista Saela Davis, che dirige il film assieme ad Anna Rose Holmer su sceneggiatura di Shane Crowley, spiega: «Non è mai stata nostra intenzione mostrare la violenza sessuale sullo schermo. Non ci interessava condurre un’indagine per scoprire la verità perché per noi le parole di Sarah sono sufficienti. Quella è la verità. Perché non possiamo semplicemente credere alle parole delle donne? Avevamo molto chiaro il desiderio di raccontare la storia in questo modo specifico». Una scelta narrativa rischiosa, che restituisce il punto di vista della madre. Come lei, anche noi siamo in qualche modo spaesati nell’apprendere la notizia. E dobbiamo credere alle parole di Sarah e abbandonare Brian.

Il film restituisce totalmente l’atmosfera di un villaggio irlandese, anche più del recente Gli spiriti dell’isola a livello fotografico, con una diversa attenzione per l’atmosfera umida e buia, e il mare in tempesta. Tutte le azioni dei personaggi hanno un qualcosa di drammatico, sono come incastrati in una ripetitività. Questo alimenta in noi la voglia di libertà e di novità, che il personaggio di Sarah riuscirà a mantenere vivo fino alla fine.

Il film è al cinema dal 4 maggio.

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