Il 26 febbraio del 1969 debuttava nelle sale francesi Z – L’ orgia del potere (trailer) di Costa-Gavras. Premio Oscar e Golden Globe al miglior film straniero nel 1970, premio della giuria al regista al Festival di Cannes nel 1969. Il film e il romanzo Z di Vassilis Vassilikos, pubblicato nel 1966, si basano sul reale assassinio del deputato socialista greco Gregoris Lambrakis avvenuto nel 1963 per mano di estremisti di destra con la complicità della polizia e dei militari nazionali. Diversi aspetti potrebbero essere messi in luce nel parlare di questa pellicola: dell’esercizio del potere che reprime la libertà di pensiero e sfrutta i canali mediatici per uso propagandistico e per falsificare la realtà; della vittoria della giustizia in un sistema corrotto; di come un thriller politico riesca, a distanza di 55 anni, a tenere alta l’attenzione dello spettatore attraverso un meccanismo investigativo da spy story ed elementi satirici.
Ma Costa-Gavras sa eccellere anche quando la narrazione lascia spazio alle sole immagini che si prestano a comunicare emozioni e stati d’animo. Sono i momenti in cui il personale, schiacciato dalla tragica sorte di una nazione costretta a subire una dittatura, riemerge per ricordare l’atto sacrificale che strapperà un uomo, il deputato socialista assassinato (Yves Montand), dai suoi affetti; primo tra tutti quello della moglie Hélène (Irene Papas). Sono le sequenze che ci ricordano una delle più interessanti lezioni di cinema: «passare da un’immagine a due immagini, significa passare dall’immagine al linguaggio» [1]. E su queste ci soffermeremo.
Il traditore dietro l’uomo di fiducia
Siamo nei primi quindici minuti di film. Il deputato è arrivato alla città dove si terrà il comizio politico. Prima di entrare in hotel si ferma davanti alla vetrina di un negozio. Lì una ragazza sta sistemando una parrucca su un manichino. Si guardano e si sorridono. Parte una musica ansimante. Di colpo ci ritroviamo in quella che sembra una stanza di un medico, che altri non è che il deputato stesso, il cui sguardo ammicca alla commessa che si è tolta una parrucca e si sta spogliando. Entra una donna che lo guarda con giudizio. Poi ritorniamo in strada. È stato tutto frutto dell’immaginazione dell’uomo, che ora guarda verso il basso pentito. Lo spettatore non può che restare confuso; se non fosse che nell’hotel, nella scena seguente, si viene a sapere che il deputato è sposato e ha dei figli. Attraverso un montaggio serrato e veloce di immagini di un sogno (erotico) accediamo alla persona dietro il politico, ai suoi pensieri più nascosti: lo spettatore non può che allinearvisi.
Il trauma di una moglie
L’arrivo di Hélène all’ospedale fornisce nuove informazioni sull’uomo, soprattutto del suo legame con lei. I giornalisti, appostati per ricevere notizie, invadono senza sensibilità il privato della donna riempiendola di interrogativi che non avranno risposta. Una stimolazione è per lei una carezza sul viso che fa riaffiorare il ricordo del marito, al quale possiamo assistere attraverso le immagini che scorrono sullo schermo. Lo squillo del telefono e le parole “ecco il direttore dell’ospedale” richiamano in lei il momento in cui le è stato comunicato il tragico incidente. Poco più avanti, ripensa a un momento felice in macchina con il marito mentre osserva le radiografie del cranio della vittima. Sono le immagini a relazionare il passato e il presente e, nello scarto tra i due, il deputato è lì per la sua Hélène, soggetto traumatizzato che vive allucinazioni, flahsback e ricordi intrusivi [2] nonostante non abbia assistito in prima persona all’evento scatenante. Il mancare di quell’esperienza diretta non permette di conoscerla [3] e forse proprio per questo lei non riesce a staccarsi da quel passato così invasivo.
Z: è vivo
La morte viene comunicata dal procuratore ai suoi colleghi, riunitisi per decidere una versione per la diffusione della notizia dell’incidente. Un’immagine in bianco e nero del deputato con la moglie e il figlio invade lo schermo; poi uno zoom-out la ricontestualizza come fotografia che Hélène sta guardando nella camera d’hotel del marito. Lasciata sola, dopo un pianto liberatorio, entra in bagno ma il suo volto deformato in uno specchio genera un flashback, raccontato sulle note della stessa musica ansimante che avevamo ascoltato nella scena del presunto tradimento. La confusione della donna prende forma nelle immagini sullo schermo. Così un rapido zoom-in mostra ancora le radiografie che stavolta si intervallano al viso terrorizzato della donna in bagno. Seguono diverse inquadrature delle luci della sala operatoria che si spengono una ad una, mentre lei ripete l’azione e rimane al buio nella stanza. Poi il medico esce dalla sala operatoria e una serie di scavalcamenti di campo disturbano lo spettatore che alla fine riceve con lei la fatidica frase: «è morto». È qui che Hélène rivive il tragico momento e, nel farlo, ri-conosce il punto esatto della morte e può finalmente distinguere tra presente e passato.
Il personale è nuovamente minato dall’ingresso del fotoreporter che darà il suo contributo nella fase delle indagini. I due si affacciano alla finestra per vedere i manifestanti che urlano «assassini!» e che dipingono in strada una “Z”, che in greco antico significa “è vivo”. Il personaggio di Hélène apparirà di nuovo solamente alla fine del film, quando verrà avvisata dall’avvocato (Bernard Fresson) che tutti i complici dell’assassinio sono stati incolpati. Egli aggiungerà «Ora è come se lui fosse ancora vivo» e, mentre è entusiasta della caduta del governo, lo sguardo della donna si fa serio e si ritira ad osservare il panorama in solitudine. Nessun montaggio ci dà ora l’accesso ai suoi pensieri, non ci viene raccontato nessun flashback. Il deputato socialista è diventato martire di un popolo attraverso il quale vive ed è simbolo di resistenza. Ma l’Uomo è morto e il sacrificio della donna, disposta a cedere una parte di sé, può rimanere privato. Solo noi spettatori possiamo spiarlo con tutta la discrezione che merita.
Oltre al potere politico del titolo che insabbia la verità e offusca il personale, ce n’è un altro che si sforza in senso opposto. È il potere che il cinema ha di generare significato organizzando immagini e suoni. In aggiunta ai premi già elencati, il montatore Françoise Bonnot riceverà l’Oscar al miglior montaggio, mentre Mikīs Theodōrakīs verrà premiato con il BAFTA Awards per la migliore colonna sonora. Se il cinema è un linguaggio, Z – L’orgia del potere lo dimostra alla perfezione.
NOTE
[1] Christian Metz, Semiologia del cinema, trad. it. Adriano Aprà e Franco Ferrini, Garzanti, Milano 1972, p. 75.
[2] American Psychiatric Association, Diagnostic and statistical manual of mental disorder, American Psychiatric Pub Incorporated, Washington DC 2013, p. 273.
[3] Cathy Caruth, Unclaimed Experience, Trauma and the possibility of History, «Yale French Studies», vol. 79, 1991, p. 61.