Wild Men – Fuga dalla civiltà: dalla Danimarca, una buona commedia di costume

Wild Men - Fuga dalla civiltà recensione commedia danese

Vi è mai capitato di sentirvi in gabbia, schiacciati a forza tra le pareti di un’esistenza che non vi appaga, di una società che per il vostro bene vi limita e predestina, e di voler mandare al diavolo ogni cosa per tornare nei boschi a far la vita dei selvaggi, campando di caccia e di raccolta, all’avventura, senza cellulare e senza tivù, senza guinzaglio né padrone? Questo risveglio delle necessità istintuali, di un contatto semplice e vero con sé stessi e con la natura, questa sorta di richiamo degli antenati pare esser diventato quasi un’epidemia nel mondo occidentale degli ultimi anni.

In una società apparentemente asettica e priva di stimoli, l’occidentale bianco medio/piccolo borghese (specialmente se maschio) corre il rischio sempre più frequente di cadere in una sorta di crisi esistenziale. Wild Men – Fuga dalla civiltà (trailer) ce lo porta sullo schermo quell’omiciattolo sperso cui sono crollate tutte le certezze. Si chiama Martin. È danese. Non ha avvisato la moglie, non ha salutato le figlie, ha comprato pellicce di cervo, un’ascia, arco, frecce, ed è scappato in Norvegia, tra la vegetazione dei gelidi fiordi, a fare la vita del vichingo, dice lui. Ma come un coniglietto domestico restituito all’ambiente naturale morirebbe di fame o verrebbe sbranato in pochi minuti, Martin se la cava malissimo. Dopo dieci giorni scende in città a cercare un minimarket… Poi, lassù tra le cime selvose, farà un incontro: un ragazzo danese ferito alla gamba gli chiede una mano; ha con sé uno zaino pieno di banconote, ma Martin non lo sa; gli offre il suo generoso aiuto; l’aspirante outsider incontra un altro tipo di individuo antisociale; durante il viaggio, con tre poliziotti alle calcagna, tra ostacoli risibili e altri più seri, avranno molto da capire sul mondo e su di sé.

Wild Men - Fuga dalla civiltà recensione commedia danese

Una delicatezza interessante quella di Thomas Daneskov, delicatezza che pure sa frangersi in scene di cruda violenza, e che evita i ritmi convulsi per darsi a una pacata e ironica narrazione dell’inane arrabattarsi per una libertà in fondo illusoria, in una corsa che finisce per scontrarsi contro la potenza del mondo naturale, tanto che lo sguardo umano pieno di speranzosi desideri giunge spesso a cozzare con squarci in cui primeggia l’aspro e freddo volto del paesaggio scandinavo, bello e minaccioso insieme.

E certe sottigliezze le rintracciamo anche nella scrittura, di cui il giovane regista è co-autore: sapide scenette di bisticci coniugali e assurde negligenze tra poliziotti colleghi fanno andare avanti il racconto principale senza gravare il film di scene inutili, anzi riecheggiando il tema principale, un discorso incardinato sull’immaturità del maschio bianco di oggi, incapace di capire i suoi bisogni, di rapportarsi con il prossimo e di assumersi la responsabilità del proprio ruolo sociale.

Questa commedia un po’ cupa non tocca certo le vette del cinema danese, né tantomeno di quello europeo, ma se pensate che un Leonardo Di Caprio corpulento che gioca a fare The Revenant, un narcotrafficante che lo segue per disperazione e un vecchio e stanco commissario costretto a scovarli possano essere dei buoni presupposti per rendere un film simpatico, vi basti sapere che Wild Men – Fuga dalla civiltà è in sala dal 20 Ottobre.

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