Vincent deve morire, la recensione: un virus silenzioso chiamato furia

Per un appassionato di cinema non c’è nulla di più interessante, e imprevedibile, delle opere prime. Si tratti degli esordi dei grandi autori, che dal primo minuto si raccontano al pubblico, o mestieranti alle prese con il primo vero feature film. Il lungometraggio diventa una finestra per esplorare il loro mondo interiore, le tematiche predilette, le ossessioni e ispirazioni. In quell’ora e mezza si cerca di dire tutto il possibile, cercando di stupire il pubblico ad ogni costo.

Insomma, gli esordi cinematografici sono sempre interessanti, nel bene e nel male. Queste considerazioni sono necessarie per presentare Vincent deve morire (trailer), primo lungometraggio del regista francese Stéphan Castang. Questo poiché il film in questione porta addosso tutti i segni di un’opera prima, ma allo stesso tempo riesce a essere un prodotto decisamente unico e dal gusto piuttosto peculiare. Un film difficile da collocare in un solo genere. Possiede infatti, già dal titolo, una forte connotazione da thriller. Instilla nello spettatore l’idea che la sopravvivenza sia il fulcro della narrazione. Ma tale parola non esaurisce del tutto il senso del film. Drammatico, sociale, horror, ma anche zombie movie o satira potrebbero accodarsi per dare un’idea più completa della commistione creata nel film da Castang. Ma chi è questo Vincent, e cosa ha fatto per meritare una condanna a morte?

Vincent (Karim Leklou) è un graphic designer francese di Lyon. Un uomo mediocre che vive una vita in maniera tanto mite quanto relativamente squallida. Un francese come tanti che fa eco all’italiano medio alla Maccio Capatonda. A tratti indelicato, inopportuno, talvolta spocchioso, con una cerchia di amici ristretta all’osso, ma in fondo una persona buona. La sua esistenza, divisa tra lavoro e limitata vita sociale, crolla completamente quando diviene vittima di violenti attacchi da parte di chi lo circonda: un nuovo stagista, un collega di lavoro di lungo corso, un barbone, una signora di mezz’età che incrocia mentre gira in bicicletta.

Non c’è vero motivo dietro questa furia, se non il fatto di aver prima scambiato con queste persone un semplice sguardo. Un gesto che fornisce la miccia ad una violenza cieca e immotivata. Una rabbia che, terminato il contatto visivo, scompare senza lasciare traccia. Presto Vincent dovrà mettersi in auto-quarantena per evitare di recare ulteriore danno agli altri o a sé stesso. Non è neanche detto che lui sia l’unico a soffrire di questa maledizione. Riducendo all’osso è questo il concept alla base di Vincent deve morire. Una vicenda che lega un conflitto esterno estremo e primordiale, con piccoli movimenti di un personaggio nella cui mente fioccano le ipotesi e i dubbi più svariati. Un viaggio verso l’inferno che lo fa regredire del tutto, separandolo da ciò che lo rende un essere umano: il contatto con altre persone.

Vincent deve morire è, in sostanza, un interessante mix di caratteristiche, provenienti da diversi film. Non sono infatti pochi gli elementi che lo avvicinano ad un It Follows (2014), horror americano dalla premessa molto simile. Un film in cui un misterioso morbo, come una maledizione, colpisce specifiche persone che appaiono ad un occhio esterno impazzire senza motivo. Anche Piove (2022), pellicola nostrana, può essere accomunato a questo filone, dove durante le notti piovose della capitale romana, un invisibile agente aereo portava con sé una violenza estrema e immotivata.

Mettendo in relazione questi film, appare evidente come in comune abbiano una certa visione della realtà. Dove il singolo personaggio paranoico vede il mondo esterno come un covo di pazzi, esseri irrazionali capaci delle peggiori stragi, se accompagnati dal giusto trigger. Non stupisce come questi film paiano raccontare, con delle grosse metafore, un disagio esistenziale, l’assoluta sfiducia verso il nostro prossimo. Sensazioni esasperate dagli anni di pandemia che ancora stentiamo a lasciarci alle spalle. Un evento che ci ha dimostrato, come se fosse necessario ribadirlo, che di fronte a situazioni estreme l’essere umano sia capace di azioni tanto altruiste e disinteressate quanto irrazionali, egoiste ed incredibilmente stupide.

Al di là della metafora centrale del film, che può risultare più o meno veritiera, sono molti i dettagli, le scelte creative, che colpiscono del film di Castang. Come rendere Vincent, la nostra vittima, il capro sacrificale che vorremmo vedere sopravvivere alla sorte, un personaggio quasi per nulla empatico verso il pubblico. Anzi, è interessante come ogni volta che lui o gli altri attori vengano inquadrati in primo piano, non vi sia alcun abbellimento. Il volto di Vincent, anche prima di essere ricoperto da ematomi e ferite non è bello, ma gonfio, a tratti viscido e grasso. Una scelta estetica netta che sembra pervadere l’intero film. Una freddezza glaciale che si nota anche a livello fotografico. A partire dalle esterne illuminate del primo atto, prima che la maledizione colpisca il nostro protagonista; quanto nella seconda parte, perlopiù notturna, in cui Vincent è costretto a nascondersi, reciso dal mondo da una stretta fila di tapparelle.

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Sulla recitazione c’è poco da segnalare. All’interpretazione sicuramente pesante e sentita che offre Karim Leklou, sono accostati una buona Vimala Pons, nei panni di Margaux, ed un ben fornito stuolo di caratteristi e facce da cinema, parzialmente deformate dal punto di vista adoperato nel racconto. Un plauso ulteriore si può dare alla parte sonora del film. Specialmente se visto in sala, si può notare una costruzione sonora di pregio. Un’alternanza di un singolo leitmotif, che presto diventa segno di sventura per il protagonista, ed un uso dei suoni repentino, che sottolineano il passaggio netto tra la normalità dell’esistenza ed i picchi di violenza irrazionali.

In conclusione, Vincent deve Morire è un film interessante. Un’opera prima che coniuga al suo interno una marea di scelte particolari, tematiche forti e intuizioni a volte davvero riuscite. Una pellicola che, se ti fai trascinare nel suo flusso, riesce ad infilarti in un turbine di violenza, nausea e paranoia senza fine. Tuttavia non è proprio un film per tutti. Trattandosi di una storia dai ritmi molto posati e lenti, specie nella parte centrale, se pur cadenzata da set pieces violenti che vi faranno chiudere i pugni dal ribrezzo. Insomma, non certo un centro perfetto, con qualche sporcatura ed esagerazione che potrebbe allontanare buona parte del pubblico. Rimane comunque un film che meriterebbe almeno una visione, anche solo per affacciarsi in un mondo che potrebbe, col senno di poi, risultarci più familiare di quanto vorremmo.

Al Cinema dal 30 maggio.

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