#Venezia80: Xue Bao, la recensione del film di Pema Tseden

Xue Bao

Si può dire che Pema Tseden fosse, a Venezia, ormai di casa. Le ultime tre opere del regista tibetano erano state presentate alla Mostra del Cinema, tutte nella sezione Orizzonti, guadagnando per Jinpa (2018) il premio alla miglior sceneggiatura. Xue Bao (o, in italiano, Il leopardo delle nevi), presente Fuori concorso in questa 80° edizione, avrebbe rappresentato la sua quarta presenza dell’autore. Non fosse per la sua prematura scomparsa (a soli 53 anni), avvenuta durante la fase di post-produzione del film.

La storia alla base di Xue Bao è tutta racchiusa in un conflitto, quello tra uomo e natura, rappresentato qui in un racconto che si fa molteplice e polisemico. Una troupe televisiva viene mandata nelle montagne del Tibet, dove un allevatore (Jinpa) ha intrappolato un leopardo delle nevi nel recinto delle sue pecore. L’uomo vorrebbe uccidere l’animale per liberarsi della sua minaccia e vendicare i danni subiti, ma è fermato dall’intervento degli operatori e del fratello monaco (Tseten Tashi). Ne deriva una lunga impasse – non priva di momenti più ilari – per decidere le sorti del leopardo, il quale sembra avere a sua volta un legame speciale con il giovane monaco.

Pema Tseden realizza una pellicola intrisa di realismo magico, che abbraccia nel suo corpo diversi registri linguistici e di stile. La rappresentazione dell’episodio, con il leopardo tenuto rinchiuso, si gioca tutta sulla contrapposizione tra l’approccio documentaristico al naturalismo della messinscena. La troupe televisiva si fa in questo caso specchio e mediazione dell’evento, creando al contempo un contrasto tecnologico con la vita rurale dell’allevatore. Siffatte sezioni (a colori) sono inframmezzate da flashback (in bianco e nero) che illustrano il primo incontro tra il monaco e il leopardo, in quello che diventa un vero e proprio rapporto di amicizia. In queste scene, dove il tono della rappresentazione si fa quasi mistico, il leopardo sembra assumere l’aura e il comportamento senziente di un animale mitologico.

I temi in gioco in Xue Bao sono molteplici e complessi. Il primo è certamente il contrasto tra le esigenze dell’uomo e quelle della natura: il candido e feroce animale ne simboleggia la potenza, l’allevatore l’ottusità di chi quella potenza non la riconosce. In mezzo si pone quindi la figura del monaco, emblema della spiritualità tibetana e del perfetto connubio che gli abitanti di questa regione ricercano con il proprio territorio. Il secondo contrasto, più spinoso, è quello tra le problematicità concrete della regione e le direttive delle autorità cinesi, aggravato anche da una differenza linguistica. Il leopardo delle nevi, in quanto in via di estinzione, è messo sotto protezione dal governo cinese. D’altra parte l’allevatore a causa sua ha perso gran parte delle sue pecore, fonte di sostentamento fondamentale per la sua esistenza e per l’economia dell’intero territorio. Viene da sé che il conseguente conflitto non è di semplice risoluzione, con all’ombra la minaccia della violenza.

Un grande lavoro in Xue Bao è quello dedicato al comparto grafico e visivo, specialmente agli effetti speciali, che realizzano in CGI la figura di un leopardo a tratti incredibilmente realistico. La presenza dell’animale sullo schermo è frequente, così come quella del paesaggio da lui abitato. La fotografia di Matthias Delvaux cattura scorci di rara magnificenza, inquadrando tutta la grandiosità che la regione tibetana nasconde.

Con Xue Bao il compianto Pema Tseden realizza un’opera di limpida riflessione sul rapporto tra l’uomo e la natura, con un racconto che si fa commistione tra documentarismo e realismo magico. Il leopardo delle nevi, fulcro del conflitto al centro della storia, si fa al contempo simbolo del burrascoso rapporto tra Cina e Tibet, della difficile mediazione e comunicazione tra i due paesi. Un racconto semplice ma pregnante che diventa testamento spirituale dell’autore.

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