#Venezia80: La Bête, la recensione del film di Bertrand Bonello

Bertrand Bonello sbarca a Venezia con un film di fantascienza esistenziale distopico interpretato dalla diva francese del momento Léa Seydoux ma nonostante le premesse non è tutto oro quello che luccica.

In un possibile 2025 l’intelligenza artificiale ha preso il controllo delle vite umane, gestisce in base ai propri parametri le vite degli esseri viventi e ne dispone il destino lavorativo e la carriera. I sentimenti umani sono ormai considerati dei difetti che deformano la produttività ed ostacolano la buona resta delle prestazioni lavorative e come un difetto di fabbricazione vanno stemperati ed anestetizzati. Gabrielle desidera un miglioramento lavorativo ma per fare questo deve accettare un procedimento di stemperamento emozionale che parte da uno scrupoloso studio del suo passato. Attraverso una tecnologia che sembra più simile alla magia l’intelligenza artificiale può risalire alle vite passate di Gabrielle ancora conservate nel suo dna e ripristinarle attraverso delle simulazioni di realtà virtuale con cui Gabrielle può rivivere le vite dimenticate.

Seguiamo così Gabrielle nella riscoperta della sua vita ottocentesca, il suo amore nascosto verso un giovane, la sua paura di essere scoperta dal marito e la sua passione per una fabbrica artigianale di bambole che sembra in sostanza evocare il perfezionamento dell’uomo da parte dell’intelligenza artificiale. Scopriamo poi la vita novecentesca di Gabrielle come aspirante attrice a Los Angeles ed il suo rapporto con un giovane violento dalle pulsioni omicide in un contesto rarefatto e perturbante. Giungeremo così al riepilogo del racconto che non lascia scampo al valore più grande dell’essere umani: l’amore.

Bonello sfrutta un tema classico unendolo ad alcuni temi immortali del cinema psicologico, aggiunge un rimando alle nuove tecnologie ed una buona dose di filosofia esistenziale per un frullato intellettuale che però risulta pesante e verboso, noioso e privo di ritmo o coli di scena, se sulla carta il film è promettente ed i mezzi non sono da poco, se il regista può mettere in gioco una diva emergente e già internazionale dall’altra parte il film si rivela privo di coinvolgimento ed empatia, la storia resta piatta e lo spettatore fatica a seguire le esperienze in realtà virtuale perchè non ne vede l’utilità sapendo che la vita della protagonista che guida il racconto è in effetti un’altra. Lo stesso concetto del dna come archivio di ricordi o della possibilità inequivocabile di avere avuto vite precedenti mischia con troppa leggerezza scienza, religione, spiritualismo ed esistenzialismo che pur essendo collegati da una materia prima centrale come il concetto stesso di essere umano hanno comunque troppe differenze e complessità per essere alleggerite con tanta facilità e piegate alle necessità del racconto, insomma sembra che in fondo Bonello dallo spettatore pretenda davvero troppo.

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