#FKFF22: No Heaven, But Love., la recensione del film di Han Jay

No Heaven, But love. recensione del film di Han Jay dal Florence Korea Film Fest

L’amore a diciassette anni è rivoluzionario. Ed è anche impacciato, assoluto, a volte terrificante. Han Jay lo racconta così com’è, con delicatezza e affettuosa giocosità, nel suo No Heaven, But Love. (trailer).

Joo-young (Park Soo-yeon) e Ye-ji (Lee You-mi) s’incontrano per caso, per un bizzarro intreccio del destino; due facce di due medaglie che più lontane non si può, Joo-young è una sfigata (per dirlo con i termini dei suoi coetanei), ingenua e solitaria; Ye-ji è iscritta al riformatorio, è testarda e instancabile, con un passato alle spalle che cerca in tutti i modi di nascondere, ed ha la consapevolezza misteriosa di chi confessa di aver già dato il primo bacio durante i giochi di obbligo o verità intorno al fuoco. Nessuna delle due però è veramente attrezzata per sopravvivere al 1999, alla sua omofobia rampante, agli abusi che Joo-young e le sue amiche subiscono da parte del loro allenatore di taekwondo.

La prima metà No Heaven, But Love. brilla di una luce soffusa e gentile, il sole rifulge sempre a Seoul e si fa strada tra le finestre della palestra del liceo; ma c’è un rivolo di inquietudine che non si lascia ignorare, un atto improvviso di bullismo che costringe Joo-young a strafogarsi di cibo per raggiungere la classe di peso superiore ai campionati, un sorriso sospetto dell’allenatore, dei lividi di troppo sulle gambe; una vena che inquina le aspettative eccitate dell’adolescenza, che raffredda le amicizie e mette a tacere chi sta subendo delle violenze innominabili.

Ed è un rivolo irrimediabilmente destinato ad esplodere, in un turbinio di violenza da cui è difficile uscire se ancora non hai difese contro il mondo. Ma è dalle situazioni più efferate che riesce a farsi spazio, con determinazione, una solidarietà femminile fino a quel momento accantonata, ed una tenacia che va avanti con le unghie e coi denti, con l’ostinazione assoluta di due ragazzine innamorate e disposte a tutto pur di restare insieme. La vita, il fato, il paese ed il momento storico in cui vivi – comunque lo si voglia chiamare – non sono sempre gentili, e a volte lasciano accadere delle ingiustizie pesanti come macigni, dalle quali sembra impossibile liberarsi. In pochissimo tempo Joo-young e Ye-ji si trovano a vivere sulla propria pelle e ad assistere ad una serie di crudeltà feroci, spesso taciute, ancora più spesso ben riconoscibili da chi nel pubblico, come loro, è stata un’adolescente.

No Heaven, But Love., da un momento all’altro, gira l’angolo e si trasforma in un thriller dal fiato corto, che atterrisce e a malapena lascia lo spazio di pensare a dove potrà mai andare a finire l’inattesa spirale di nevrosi; ma non dimentica mai la dolcezza dell’inizio, con una fiducia incondizionata nelle ragazze e ragazzi che lo popolano, a cui tutto viene perdonato, e che vengono accompagnati con pazienza verso l’età adulta.

Se è vero che questo tournant ha un sapore eccessivamente brusco, è vero anche che era indubbiamente anticipato, per quanto si cercasse di nasconderlo o ci si potesse, fra le poltrone, rassicurare che non sarebbe mai esploso con tale scioccante brutalità, che sarebbe passato da solo. Ed invece, contro ogni paura, la violenza e l’abuso di potere si dispiegano in tutti i loro caratteri più crudi, senza permetterci di rimanere seduti nelle nostre indifferenze.

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