#Venezia79: Luxembourg, Luxembourg. La recensione del film di Antonio Lukich

Luxembourg, Luxembourg

Presentato alla sezione Orizzonti della settantanovesima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, Luxembourg, Luxembourg (2022, trailer) di Antonio Lukich è un’opera mainstream sulla paternità negata o mancante. A tratti comico, ma profondamente drammatico, il film è una dolceamara favola della buonanotte su due gemelli ucraini non troppo cresciuti. Kolya (Amil Nasirov) e Vasily (Ramil Nasirov) ponderano l’opzione di salutare per un’ultima volta il padre criminale, apparentemente morto in Lussemburgo. Ma la strada è colma di insidie! Kolya è un poco di buono che guida un bus per anziani ma che, a causa di un incidente, sarà messo agli arresti domiciliari; Vasily è riuscito ad entrare in polizia arginando il pericolo di essere respinto, vista la sua passata affiliazione (non voluta) col mondo della malavita, ma è visto comunque come un ragazzino senza carattere e spina dorsale dal suocero. Il materiale di storia e personaggi di Luxembourg, Luxembourg non finisce qua! Esso è un fiume in piena che straripa e che avvicina il film a una telenovela di un’ora e quaranta.

Le sue trame e sottotrame sono ingredienti di un piatto narrativo che, arricchendosi sempre più, potrebbe confondere o annoiare senza una premessa: Luxembourg, Luxembourg vuole mettere in scena non la ricerca di oggetto mancante, quanto la mancanza di quell’oggetto. Le tante situazioni che vivono i figli nell’opera di Antonio Lukich sono i momenti in cui sarebbe dovuta essere presente la loro figura paterna. E allora, cosa succede ai fragili adulti se nella loro vita è mancato un padre forte? Kolya è un ragazzino-adulto miserabile e spacciatore; ha lo sguardo perennemente spento e spesso sottomesso all’autorità; è irresponsabile e vede l’opportunità di andare a trovare suo padre come l’ultima ancora di salvezza. Vasily dovrebbe essere il fratello responsabile e garante della legge, ma è sempre sull’orlo di una crisi di nervi; la scena semi-ironica presso un negozio di giocattoli, ad esempio, lo avvicina ad un criminale che reclama minaccioso il giocattolo della neonata figlia.

Kolya e Vasily sono messi costantemente in situazione che non sanno gestire. O annuiscono e guardano sempre a terra, o si aggirano spaesati all’interno di un mondo così strano e lontano. Entrambi sono gli eterni Peter Pan desiderosi di vivere per sempre sull’Isola che non c’è, ovvero la mitica Lussemburgo del padre. Seguendo tale ragionamento, ogni scena del film diventa una prova di coraggio e di attesa mal gestita da questi eterni bambini. Impossibilitati a raggiungere il padre, questi ragazzi scapestrati e impotenti rimangono in Ucraina a sopportare i domiciliari – Kolya, tra le tante cose, tenta di porre rimedio all’incidente della signora anziana aiutandola in casa – e a sopravvivere all’interno della bassa borghesia del posto – Vasily, tra le tante cose, è continuamente criticato anche dalla moglie che lo accusa di non provvedere mai alla sua felicità.

La ricerca del padre diventa dunque un favoloso MacGuffin per raccontare un qualcosa che non è mai toccato dai protagonisti: la pazienza dell’attesa, ovvero la qualità che permetterà di vedere finalmente il genitore tanto cercato e mai trovato. Kolya e Vasily non possiedono questa caratteristica. È per questo che abbandonano le tante trame del film e partono senza avviso per la città di Lussemburgo. Incapaci di sostenere l’incredibile difficoltà della vita, questi guidano insieme nella speranza di ricongiungersi a chi sa come proteggerli. Negli ultimi venti minuti il film esplora tra le cose la trama cruciale della fratellanza tradita, accennata nella prima parte ma mai resa così vivida come (purtroppo) negli ultimi venti minuti. Luxembourg, Luxembourg è in conclusione una riflessione sulla disgregazione dei rapporti familiari. Forte del materiale narrativo, rischia però di divenire la soporifera ballata di una gioventù senza modelli. Il finale straziante non incita per nulla i protagonisti a cercare qualcosa di nuovo; anzi, fa sprofondare l’intero film in un pessimismo cosmico di fondo davvero intollerante.

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