L’apparenza delle cose, la recensione del film su Netflix

L'apparenza delle cose, la recensione del film su Netflix

La bellissima Amanda Seyfried – candidata alla Miglior attrice non protagonista degli Oscar di quest’anno per Mank – torna sul piccolo schermo con una nuova avventura horror-thriller targata Netflix. L’apparenza delle cose (trailer), è un adattamento del libro All Things Cease to Appear, nato dalla penna di Elizabeth Brundage. Chi tiene le redini di questo sceneggiato sono Shari Springer Berman e Robert Pulcini che, per quanto possibile, hanno cercato di rimanere fedeli al romanzo originale.

Catherine (Amanda Seyfried) e George (James Norton) sono una coppia di sposi che – insieme alla figlia di tre anni – lasciano il cuore della città di New York per trasferirsi in periferia. Mentre George prende il ruolo di insegnante di storia dell’arte al campus della zona, Catherine si ritrova a dover fare i conti con la solitudine e una casa che sin da subito presenta misteri e segreti. Avvertendo presenze strane seguiti da episodi sinistri, che il marito non riesce a cogliere, Catherine è costretta a vedersela da sola per venirne accapo. Ma con l’aiuto di Floyd DeBeers (F. Murray Abraham), amico di George, riesce a scoprire verità nascoste e retroscena macabri. Nel frattempo il suo matrimonio viene messo a dura prova a causa di comportamenti ambigui e menzogne di George che – alla fine – si riveleranno fatali.

Come in ogni film dell’orrore che si rispetti, anche L’apparenza delle cose tesse la sua tela attorno ad una sciagurata famiglia costretta ad abitare in una casa infestata che farà da trampolino di lancio all’evolversi degli eventi. Se da un lato ci si sente “subito a casa” con il genere, dall’altra la sceneggiatura perde dei colpi: chi guarda sa già dove si andrà a parare. Le dinamiche infatti risultano scontate e la trama non aggiunge niente di nuovo a ciò che si è già visto e rivisto in altre pellicole decisamente più accattivanti.

Questo “handicap” però si fa sempre più forte solo dopo lo start del film che in realtà parte con il botto. Dal primo ciack sembra che si entri subito nel vivo delle dinamiche, con momenti di suspense iniziali accentuati dall’uso progressivo di primi e primissimi piani, che si sgretolano nel giro di qualche scena. Si perde così il motore che dovrebbe muovere l’intero carro: la tensione. La speranza che si riprenda il ritmo svanisce quando viene meno uno degli elementi principali che tiene incollato lo spettatore: il jumpscare, tecnica che – probabilmente per mancanza di appigli nella storia originale – viene a mancare su tutti i fronti.

Altro tasto dolente de L’apparenza delle cose è l’aspetto thriller. Si punta sulla personalità psicopatica di George che rappresenta il “male”. La struttura del personaggio è ben fatta e James Norton ha tutte le carte in regola per giocarsi una buona performance. Lui, che è l’antagonista, è il tipico killer latente che grazie all’intreccio con il sovrannaturale riesce ad emergere spinto dall’influsso di un fantasma perverso. Ma è proprio quando ci si sta avvicinando alle “pagine” più avvincenti della diegesi che ancora una volta non si riesce ad inserire la marcia. George, scatenato assassino, miete le sue vittime in tempi troppo brevi per scatenare un minimo pathos in chi lo osserva. In due ore di film si è avuto tutto il tempo per sviluppare al meglio questo suo progressivo mutare e non è stato sfruttato a dovere.

Si potrebbe pensare ad un flop dell’adattamento e probabilmente un po’ lo sarà, ma tutto sommato è piacevole poter guardare Amanda Seyfried e James Norton calarsi nei panni di due protagonisti che non fanno altro che fare a brandelli un amore malsano, con uno sfondo malvagio e paranormale. Perché alla fine, se si vuol essere sinceri, è di questo che si tratta.

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