#Venezia78: Halloween Kills, recensione del film di David Gordon Green

Halloween Kills, secondo capitolo della nuova trilogia di Halloween di David Gordon Green, regge bene il ritmo, la storia funziona senza colpi di noia e le immagini sono iconiche e suggestive. Un film di genere che svolge bene il suo lavoro ma non sembra desiderare di diventare nulla di più di un compitino ben fatto.

Nel 1978 John Carpenter e Debra Hill, basandosi parzialmente sul modello di Psycho di Alfred Hitchcok e su alcuni B- movie di moda al tempo, generarono con il film Halloween – La notte delle streghe un sottogenere del cinema horror, un franchise da milioni di dollari ed una figura iconica che ne avrebbe ispirate moltissime nei 40 anni che sarebbero seguiti. Il film di John Carpenter totalizzò incassi record con i primi tre film (di cui solo i primi due connessi fra loro). Dopo la nascita della serie di Venerdì 13, palesemente ispirata a quella di Carpenter, attraverso il produttore Moustapha Akkad avrebbe portato avanti il franchise con una seconda trilogia e grazie al successo del cult movie Scream di Wes Craven e sotto la supervisione dello sceneggiatore del film di Craven Kevin Williams si sarebbe prodotto un ulteriore dittico che ci avrebbe portato ad altri due reboot curati da Rob Zombie per un totale di 10 film.

Nel 2018 David Gordon Green è arrivato alla guida della rinascita della serie di Halloween avvalendosi della produzione esecutiva di John Carpenter e di Jamie Lee Curtis (iconica protagonista del cult movie originale e figlia della leggendaria Janet Leigh che fu la vittima nella doccia di Psycho) per un progetto di cui Halloween Kills è, appunto, il secondo capitolo ed il cui atto finale Halloween Ends è previsto per il 2022.

Sebbene la scrittura del primo film della serie fosse curata tanto da John Carpenter quanto dalla sua compagna, il film fu accusato di maschilismo e si utilizzò il modello di Laura Mulvey per analizzare e destrutturare il racconto, a volte in modo brillante, a volte in modo troppo superficiale. Resta il fatto che in modo alternante più onde di analisi del cinema femminista hanno attaccato o rivalutato il film originale, consentendo all’opera di rimanere in gioco anche su un piano più intellettuale per molti anni. Secondo la protagonista Jamie Lee Curtis la tesi che sostiene che il suo personaggio si salvi dal massacro solo perché vergine è infondata ed involontariamente va contro l’emancipazione stessa del suo personaggio. Lei ritiene che Laurie si riesca a salvare essenzialmente perché è più profonda degli altri personaggi e la sua verginità non è la causa della sua salvezza ma solo un effetto collaterale della sua scelta di dedicare i suoi interessi ad argomenti che non siano quelli stereotipati adolescenziali.

Nella nuova trilogia curata da Green le dinamiche di scelta delle vittime da parte di Michael Myers sono del tutto diverse e non si concentrano sulla punizione della sessualità o della superficialità intellettuale, vanno bensì in altre e più articolate direzioni che probabilmente riusciremo a comprendere solo con il gran finale. Rispetto al film del 2018 la storia scorre meglio, Green si libera di alcuni problemi legati al rispetto del testo originale e può muoversi un po’ più liberamente con alcune considerazioni interessanti sul sistema politico americano e sulla paranoia che alimenta la sua società, un monito ad un mondo di armi e paura dove l’odio alimenta il male in una escalation di demoni dell’immaginario sempre più sofisticati. Il personaggio di Jamie Lee Curtis resta per quasi tutto il film in ospedale e funge più da coro del racconto lasciando ad altri personaggi, recuperati dal primo film, la funzione centrale probabilmente con lo scopo di ricollocarsi in prima linea per l’atteso scontro finale della storia.

All’interno del suo sottogenere slasher Halloween Kills si tratta chiaramente di uno dei migliori film di questi ultimi anni ma oltre questa categoria il film non è in grado di andare, resta un prodotto divertente per un settore chiuso di consumatori che non sembra trovare o voler trovare lo spazio per un nuovo pubblico.

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