#Venezia80: Hollywoodgate, la recensione del documentario di Ibrahim Nash’at

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30 Agosto 2021. Le truppe americane lasciano Kabul, sgomberano il complesso Hollywood Gate e permettono ai talebani di riappropriarsi del Paese con più veemenza di prima, con maggiore potenza bellica grazie agli armamenti e alle risorse abbandonate dagli statunitensi. 17 miliardi di dollari in armi, aerei ed equipaggiamento militare: una manna dal cielo per i redivivi talebani, un controverso paradosso nell’analisi delle mire americane. Malawi Mansour viene proclamato nuovo comandante dell’Aeronautica militare, vuole che quanto lasciato dagli americani venga integrato e implementato tra le file le dei suoi accoliti, perché possano combattere più ferocemente e mettere sotto scacco i civili “rieducandoli”, perché compiano la visione del loro superiore. Pochi giorni dopo la ritirata dall’Afghanistan da parte degli americani i talebani hanno già il controllo, si muovono velocemente per fondare un regime militare che sopprima ogni forma di dissenso, riparano gli elicotteri e i jet dei nemici per costruire un armata a cui i ribelli non possano più opporsi.

Ibrahim Nash’at, documentarista egiziano, arriva a Kabul nel momento propizio per attestare la transizione politica e sociale, seguire dall’interno le azioni di Malawi Mansour e dei suoi sottoposti, ritrarlo mentre soprassiede al lavoro svolto dai tecnici nelle basi recuperate e occupate, mentre ordina e supervisiona le missioni di soppressione della resistenza, mentre discute sulle imposizioni da reintrodurre e sulle libertà da limitare per le donne afghane.

Hollywoodgate (clip) indaga dall’interno i comportamenti e l’assurda quotidianità dei responsabili delle politiche discriminatorie, dell’apartheid di genere e della generale crisi umanitaria. Si sofferma sulla profonda ignoranza del “nuovo ordine”, su una belligeranza che non ha radici solo ed esclusivamente nel fondamentalismo religioso ma che è frutto di un vero e proprio culto per la guerra, venerata ed esaltata quasi come si trattasse di un gioco, perpetrata da menti nate e (non) cresciute nella battaglia, sature di atrocità, che fanno della morte la loro grammatica, della violenza il loro linguaggio. Un’infantilità che si traduce in una continua e necessaria auto-glorificazione, in un esibizionismo grossolano, in una parata di soldati, di carri, di velivoli militari sotto la vista dei maggiori rappresentanti delle ambasciate mondiali. Che si riversa ancora nelle idee e nelle frasi ad effetto pronunciate da Malawi Mansour e Mukhtar (su tutti) durante le loro arringhe e le loro confessioni personali, asserzioni che sembrano uscite direttamente da un film, pronunciate da un banale antagonista di un action hollywoodiano (farneticazioni sul dominio del mondo).

Quella che documenta Ibrahim Nash’at è la realtà, quella realtà da cui Malawi Mansour e i suoi adepti sembrano avulsi, quella che i talebani reinterpretano in nome della violazione dei diritti inalienabili, quella in cui le donne non possono mostrare il volto e non possono accedere all’educazione superiore. È la realtà in cui procurare la morte è l’unica forma correttiva per il pensiero divergente e limitare le libertà è la strada giusta per ripristinare la fratellanza e l’unità nazionale.

Con Hollywoodgate, Ibrahim Nash’at restituisce un importante documento sulla presa di potere dei talebani fornendo una preziosa prospettiva interna che ne mette a nudo la dissennatezza e ne mortifica le figure, suscitando persino risa in alcuni frangenti (è il caso di Malawi Mansour che prova per la prima volta un tapis roulant e Mukhtar sperimenta la festosità di uno spara coriandoli) e alimentando una riflessione sulle responsabilità dell’Occidente e sulla spaventosa indifferenza riguardo i crimini umanitari che continuano a consumarsi in loco. Riuscendo ad ottenere la concessione di Malawi Mansour (probabilmente a scopo propagandistico), il documentarista egiziano conserva una testimonianza dal grande valore storico e che ha il merito di costituire un unicum tra i film che indagano la condizione sociopolitica dell’Afghanistan post-ritirata delle rappresentanze militari occidentali.

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